L'amore non è un arrocco. Capire la vita grazie agli scacchi.
Dalle note di copertina“Leggi, stratagemmi, curiosità del mondo degli scacchi, già affascinanti in sé, diventano fari che illuminano gli angoli oscuri dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, rivelano verità sorprendenti, suggeriscono soluzioni inedite per le nostre battaglie quotidiane. Trovare infallibilmente un oggetto smarrito, imparare ad amare l’errore e la sconfitta come motori del cambiamento, riflettere in un modo del tutto nuovo sui sentimenti, sul destino, sui progetti, sul tempo, sulla volontà, sulla paura: L’amore non è un arrocco è tutto questo, una pioggia di scoperte grandi e piccole, in cui si sorride di sé e dell’imperdibile spettacolo dell’essere umano al confronto con il mondo. Niente paura, però: non c’è nessun bisogno di conoscere le regole degli scacchi per godere di questo libro. Basta aver voglia di cercare la profondità attraverso la leggerezza, con uno sguardo innamorato della vita e dei suoi misteri senza fine.”
Giudizi critici
“Raul Montanari intreccia gli scacchi con la vita: infiltra la razionalità dei primi nella seconda e accoglie l’imponderabilità di questa nei primi. Questo libro non è un saggio. Il suo autore sì” (Dario Voltolini).
Visto da me
Come racconto nel libro, il mio rapporto con gli scacchi è quello di un innamorato respinto: ho cominciato da ragazzino a fare tornei ma presto è stato evidente che non avevo il talento per diventare un campione. Intanto però dallo studio matto e disperatissimo di quegli anni e dall’abitudine, che mantengo tuttora, di seguire le partite dei campioni veri, mi è rimasta quella che potrei chiamare cultura scacchistica: un misto di conoscenze, curiosità, passione.
Presto mi sono accorto di una cosa: che dagli scacchi mi arrivavano degli stimoli la cui portata andava molto oltre il gioco in sé. Era come se gli scacchi fossero un grimaldello che mi permetteva di aprire porte che altrimenti sarebbero rimaste sbarrate. Dove? Nella mia vita, nella realtà intorno a me e dentro di me. Questo valeva, e vale ancora oggi, per cose grandi e piccolissime, nei campi più svariati: da quello ovvio della razionalità a quello molto meno scontato delle emozioni e dei sentimenti, fino ad applicazioni assai concrete e terra terra.
Per esempio credo che non passi giornata senza che mi capiti di usare un trucco semplice ma efficacissimo per trovare un oggetto smarrito, che ho desunto da un libro sui processi mentali del giocatore di scacchi! Può trattarsi del solito cellulare appoggiato chissà dove, di un prodotto sugli scaffali di un supermercato, di un’auto in un grande parcheggio… qualsiasi cosa, anche oggetti mentali e non tangibili. Questo è appunto un trucco, un espediente, ma gli scacchi mi hanno insegnato molto di più, suggerendomi approcci inediti al mondo interiore e a quello esteriore, alla mia mente e alla mia anima come a quelle degli altri. Sorprendentemente, il libro non richiede nessuna competenza nel gioco degli scacchi: è stata la mia scommessa scrivendolo e sono felice di averla vinta, a giudicare da come è stato accolto dai suoi primi lettori. E non ha nessuna pretesa di essere un testo sapienziale, direi nemmeno intellettuale. Sarei felice se venisse letto come un divertente e stimolante manuale di aiuto-aiuto, ricco non solo di ragionamenti ma anche di esempi, aneddoti, racconti e anche confessioni personali.
Personal essay, saggio personale, è una definizione in uso nell’editoria angloamericana che trovo perfetta per L’amore non è un arrocco. Non è un romanzo, ma in comune con i romanzi che ho scritto ha, spero, l’intensità e l’ambizione di essere letto senza annoiare.
La prima pagina
La sopravvivenza del fascino degli scacchi all’interno della sterminata ludoteca che ormai ha preso il posto del mondo, il prestigio ostinato di cui continua ad ammantarsi questo gioco nato in India (ma i cinesi rivendicano la primogenitura) e vecchio di un millennio e mezzo, hanno del miracoloso. Un po’ come il permanere dell’aura magica intorno alla letteratura e ai libri, in un universo di persone che non leggono.
È vero che chi si avvicina agli scacchi, anche senza diventare un giocatore provetto, prova immancabilmente un senso di vertigine, come se lanciasse un sasso dentro un pozzo e attendesse invano di sentire il tonfo nell’acqua o l’urto contro un fondo asciutto. No: il sasso cade all’infinito e gli scacchi, pur essendo in teoria solo un gioco, hanno a che fare con l’infinito sotto molti aspetti. Sono una porta aperta sull’infinito.
È nota la storia di quel saggio cortigiano che un re voleva ricompensare per i suoi buoni consigli. Il saggio sapeva il fatto suo. Disse che si sarebbe accontentato di un po’ di riso, da calcolare così: un chicco sulla prima casella di una scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza, otto sulla quarta e così via, raddoppiando fino alla sessantaquattresima e ultima casella. Al re sembrò di cavarsela a buon mercato e acconsentì, divertito. Si era limitato a contare che, di casella in casella, il numero dei chicchi passava da 1 a 2, poi da 2 a 4, a 8, a 16, a 32, a 64, a 128 e così la prima colonna della scacchiera sarebbe stata riempita con 255 chicchi: giusto una manciata, niente di che.
Poi però si rese conto che, proseguendo il calcolo, di raddoppio in raddoppio il cachet del saggio sarebbe diventato immenso: arrivati alla sessantaquattresima e ultima casella, sulla scacchiera avrebbero dovuto venire ammucchiati in totale 18.446.744.073.709.551.615 chicchi! Non riesco nemmeno a leggere questo numero ad alta voce, a trasformare la cifra in parole… diciotto miliardi di miliardi di chicchi? Ecco, forse ce l’ho fatta. Non sappiamo come andò a finire; speriamo solo che il re non abbia fatto tagliare la testa al saggio ma abbia preferito tagliare i costi, licenziandolo.