Raul Montanari


Il regno degli amici



Dalle note di copertina

Quando hai sedici anni e gli amici sono tutto il tuo mondo, l'iniziazione alla via non può che essere violenta. Come l'amore. O la scoperta del male.
E' l'estate del 1982. L'Italia ha appena vinto i Mondiali di Spagna e Milano è deserta. Demo, Elia e Fabiano trovano una casa abbandonata sul naviglio Martesana e decidono di farne il loro Regno. Un posto segreto dove è possibile fumare, ascoltare i Led Zeppelin, sfogliare i giornaletti porno, scoprire il confine sottile fra complicità e gelosia, fra emulazione e rivalità. Un posto, anche dove accogliere i nuovi amici, come Ric. Poi incontrano Valli, ed è un'apparizione. Lei è selvatica, ha gli occhi verdi, i capelli lunghi, un corpo esile chiuso in una salopette; vive in un camper con la madre e ogni giorno pesca nel canale. Senza volerlo la ragazza rompe il goffo equilibrio maschile del Regno, insinuando nel gruppo quella tensione erotica che è per tutti la grande scoperta e il grande dolore dell'adolescenza. Ma che qui genera un danno capace, in una sola notte, di cambiare il destino dei protagonisti. Mentre la pioggia si porta via l'ultima estate della loro giovinezza.
"Raul Montanari continua a stupirmi. Ogni romanzo che scrive solleva un po' di più l'asticella. Questa volta, con Il regno degli amici, ha esagerato, ha preso il volo" (Niccolò Ammaniti).






Giudizi critici

"Bello, sincero, dolente e coinvolto in ciò che narra. Il rispetto e la delicatezza con cui Montanari racconta una storia plausibile volendo bene ai suoi personaggi (che poi è un modo di rispettare la propria adolescenza) fanno di questo romanzo una sorta di Via Pàl per ragazzi solo più adulti, per quegli adolescenti che non possono ignorare quanto il mondo è crudele" (Goffredo Fofi, "Avvenire").

"Un racconto fluido ed emozionante. Un'estate dorata, che svela - tutto in una volta sola - la forza dell'eros e della gelosia, del tradimento e della colpa. (...) La baldanza di raccontare la periferia nord milanese con la stessa convinzione di un dannato Texas dietro l'angolo" (Maurizio Bono, "Repubblica").

"Valli, la protagonista femminile del Regno degli amici, arriva come una stella cometa. E tutti illumina. E tutto incendia. E' necessario che la vita ci sbatta addosso con tutta la sua violenza, per capire davvero qualcosa, fosse solo di non poter capire niente? Montanari ci obbliga a chiedercelo" (Chiara Gamberale, "Io donna").

"Raul Montanari, una certezza come scrittore (non ho mai letto un suo libro che non mi abbia attratto per qualche ragione) costruisce una vicenda generazionale molto intensa. L'amore, il male, la vertigine, l'amicizia tra maschi: incrociando tutti questi fili Montanari propone un romanzo che si fa sempre più potente. Da leggere e poi consigliare" (Pietro Cheli, "Amica").

"Montanari riesce a farci immedesimare nella giovinezza dei suoi protagonisti, l'età della vita in cui si scoprono l'amore e il dolore" (Paolo Di Paolo, "Donna Moderna").

"I romanzi di Raul Montanari ti violentano l'anima e fanno paura. Quando li leggi sei costretto a fare i conti con te stesso... Infatti per lui la definizione "noir" non è più sufficiente. Racchiudere Montanari in gabbia (di genere, di stile) non è possibile: da tempo è andato irrimediabilmente oltre" (Alessandro Garavaldi, "Milanonera").

"Uno stile peculiare, prezioso, neoclassico - intendendo con questo termine una forma snella e agile, come prevedono i nostri tempi, ma dalla quale trapela una solida formazione classica. Dal dialogo all'azione, dallo scarto di pensiero all'emozione: il pensiero, la frase, il periodo, la singola scelta lessicale - sempre oculata, come da un lavoro di oreficeria - ci rimandano bellezza" (Marilù Oliva, "Marie Claire").

"Io ho letto tutti i libri di Raul Montanari, e secondo me questo è il più bello" (Daria Bignardi, "Le invasioni barbariche").

"Perfino l'anima sanguina in queste pagine, nelle rêverie dei ragazzi. ma si diverte anche, inventa ipotesi di cielo pure quando tutto sembra avvolto nel mistero, nel buio senza stelle" (Francesco Forlani, Nazione Indiana).

"Un libro da non perdere" (Barbara Garlaschelli).

"Dopo tredici romanzi e più di cento racconti, ha creato una delle sue trame più belle, un gioiello di semplicità e forza, che oltre a rallegrare i suoi lettori affezionati gli conquisterà sicuramente nuovi consensi" (Paolo Melissi, "Satisfiction").

"Per Cézanne l'artista «deve fare la sua opera come il mandorlo fa i suoi fiori» e Raul Montanari ci riesce da decenni con naturalezza, con l'onestà di chi affida alla propria scrittura esercizi di coerenza. Potrebbe sbalordire con parole difficili, concetti superbi, ma rinuncia volentieri: non è ciò a cui mira con quella prosa nitida, tersa, quasi spietata. Sa che la passione ha un'anima di sangue e di nervi, per questo scrive storie prive di avarizia, semplici nel linguaggio ma ricche di pathos" (Fabio Ivan Pigola, "Kultural").

"Raul Montanari ci consegna il più potente dei suoi romanzi: un libro come pochi scrittori italiani sarebbero oggi in grado di scrivere legati come sono al proprio cordone ombelicale. Montanari riesce a coniugare una grande scrittura con un'idea narrativa che diventa lettura difficile da abbandonare, ma anche metafora - vera, riuscita, sconcertante - di come la ferocia dei nostri giorni sia essere vittime inconsapevoli di una società che non è una dittatura, ma un Reame dove tutto è un gioco, condannati come siamo a vivere come adolescenti seppur del tutto privati della forza dell'istinto che quella età comporta" (Gian Paolo Serino, "Il Giornale").

"Romanzo di formazione da divorare. ma talmente tiepido di vita e verità, da commuoverci puntuale" (Rita Guidi, "La gazzetta di Parma").

"Raul Montanari usa la penna come un bisturi per scavare nei grandi abissi e nelle grandi vertigini dell'adolescenza" (Michele Lauro, www.panorama.it).

"Il primo grande pregio del romanzo è la sua capacità di rendere con tenera, dettagliata autenticità tutto quello che, da ragazzi, allora si era davvero" (Piersandro Pallavicini, "La stampa - Tuttolibri").

"Il romanzo strutturalmente e linguisticamente più compiuto di Raul Montanari. Giocato sulle dimensioni dell'interiorità in costante equilibrio col racconto esterno, con un procedere narrativo dal sicuro e fluido senso del ritmo. una scrittura che trascorre dall'incanto alla crudezza" (Ermanno Paccagnini, "Corriere della Sera").

"Un intreccio dove narrazione, personaggi, emozione e prospettiva profonda si fondono in un'opera di stupefacente impatto" (Davide Sapienza, "Corriere della Sera").

"Una narrazione a schema libero, dove i richiami al genere noir e al romanzo di formazione verranno oltrepassati dal desiderio di lasciare che la storia sia capace di muoversi sull'onda di ciò che accade pagina dopo pagina" (Elisabetta Bucciarelli, "Cooperazione").

“Stupefacente racconto di un’indimenticabile iniziazione alla vita, fra realismo e magia. Montanari è davvero maestro nel ricostruire illusioni e pulsioni di quell’età insidiosa” (Piero Gelli, “Linus”).





Visto da me

Alla faccia di chi dice che gli editor non servono a niente, che sono messi lì dalle case editrici per tarpare le ali all'autore e mortificare la sua audacia, io ho un bellissimo rapporto con Francesco Colombo, che ha seguito i miei ultimi quattro romanzi pubblicati da Baldini & Castoldi e ora questo uscito con Einaudi. Di solito Francesco ha poco da dire sulle cose che gli faccio leggere, perché quando gliele presento sono già profondamente lavorate; ma è sorprendente come quel poco sia sempre decisivo.
In questo caso l'intervento più importante di Francesco è arrivato addirittura prima della scrittura. Durante una conversazione, ha osservato che nella maggior parte delle mie storie il protagonista ha subito un danno nel passato, spesso nell'adolescenza, e questo danno propaga le sue conseguenze nel tempo presente, presentando un conto salatissimo al personaggio ormai divenuto adulto.
"Se ci pensi, le parti in cui racconti il danno sono le più belle dei tuoi libri," ha detto quel giorno Francesco. "Perché non provi a scrivere un romanzo in cui racconti solo il danno? Ossia, in cui le conseguenze del danno in età adulta sono confinate nella cornice, o nel finale, e le avventure del protagonista da ragazzo sono al centro della narrazione?"
Era un ottimo suggerimento, e così ho fatto.
Il regno degli amici è la prima storia di adolescenti che abbia mai scritto, sotto molti aspetti un libro profondamente diverso dai precedenti. La trama assume a un certo punto le cadenze dure che non posso fare a meno di infliggere ai miei protagonisti e ai miei lettori (che di solito gradiscono), ma la cosa più magica in questa narrazione è tutta la prima parte, con i ragazzi che costruiscono il loro Regno in una casa abbandonata con lo stesso entusiasmo aurorale con cui gli uomini hanno costruito le loro città. Si ride, ci si appassiona e si sta benissimo in compagnia di Fabiano, Demo e del pazzo profeta Elia, e quando sulla scena appare il sedicenne Ric Velardi, alla sua terza apparizione nei miei libri, credo che molti lettori ne siano contenti, riconoscendolo.
Poi arriva Valli e cambia tutto, senza averne la volontà: così deve essere. L'amore e l'amicizia sono nemici da sempre. Nelle nostre vite l'amicizia arriva prima, ma le armi dell'amore sono micidiali.






La prima pagina

Fu Fabiano a portarmi per la prima volta in quello che sarebbe diventato il Regno degli amici. Ricordo bene quel giorno, perché avevamo appena fatto una delle liti più brutte della nostra vita.
Eccolo, Fabiano: alto, una faccia dai lineamenti regolari in cui spiccavano gli occhi nerissimi e i capelli ricci e corti. Aveva un fisico come certe statue greche di ragazzi, i muscoli lunghi ed eleganti. Portava sempre una maglia girocollo e una collana di pietre multicolori, un po' pacchiana ma apprezzatissima. Ci conoscevamo da anni perché prima abitavamo vicini, in via Comune Antico, nel quartiere di Greco che sta nella periferia a nordest ed è forse uno dei più strani di Milano; ma a giugno lui aveva traslocato andando a vivere ancora più in fuori, in fondo a viale Monza, ai confini della città. Eppure ci vedevamo lo stesso, quasi tutti i giorni.
Fabiano odiava la scuola, pur non essendo affatto uno stupido - era anzi un grande lettore, soprattutto di libri di storia e biografie: quella di Che Guevara la sapeva a memoria. Era stato bocciato due volte all'Istituto tecnico. Suo padre si era infuriato, e dopo averlo caricato di schiaffi l'aveva costretto ad andare a lavorare nell'officina di un suo amico, in una traversa di viale Monza non lontano dalla loro nuova casa. La cosa non gli aveva creato complessi. Fabiano aveva un carisma stellare, anche perché era già stato a letto con una ragazza. Anzi, due.
Ora che ho passato i trenta posso dirlo: non esiste al mondo dittatura più tirannica di quella che un ragazzo esercita sui suoi coetanei quando è più avanti di loro in queste faccende. Si comincia intorno agli undici o dodici anni e c'è quello che ha già baciato con la lingua. All'età che avevamo noi, fra i quindici e i sedici, la soglia era ormai quella del rapporto completo.
Fabiano ne aveva avuti sia con quella che per un po' era stata la sua ragazza, sia con una donna sposata che abitava nel suo stesso palazzo di via Comune Antico, una bionda dallo sguardo folle che era il mito erotico locale. Quando andavo a trovare il mio amico e la incontravo nell'atrio o per le scale sentivo il rossore salirmi dal basso ventre fino ai capelli. Lei mi sorrideva con quell'aria di superiorità che prendono le donne quando camminano sugli sguardi dei maschi, calpestando i loro pensieri lascivi. Ancora adesso capita che mi torni in mente; sta nella mia antologia sessuale di tutti i tempi e ci rimarrà fino alla fine.
Insomma, a maggio eravamo seduti in un bar, io, lui ed Elia detto il Profeta, quando Fabiano ci raccontò che la signora lo aveva invitato in casa sua, dove l'aveva accolto con indosso una vestaglia e non aveva perso tempo a fare conversazione. Gli aveva ordinato di farle cose sporchissime e inaudite, che mi avevano lasciato a bocca aperta mentre gli archivi mentali impazzivano di gioia e registravano tutti i dettagli. Ci riferì questa storia nel suo modo di parlare pulito, perché Fabiano bestemmiava forse dall'età di due anni ma si sforzava di non dire parolacce, quelle del sesso intendo. Questo mi commuoveva, come se fosse il suo modo di ribellarsi a suo padre e a tutto un universo di volgarità a cui sembrava destinato.
Alla fine il Profeta borbottò un'obiezione, perché in quel periodo Fabiano avrebbe dovuto appunto essere impegnato con Margherita, la ragazza con cui aveva perso la verginità. Ma proprio per questo, mentre la cameriera del bar andava e veniva e non era niente male nemmeno lei, Fabiano mi era parso rifulgere in una luce ancora più satanica: principe del letto e già adultero, un vero eroe del sesso!
L'obiezione fu respinta.