Raul Montanari


Il buio divora la strada



Dalle note di copertina

Alex ha vent’anni, una madre giovane e bella, un padre creduto morto da tempo. Una notte, una telefonata anonima scuote le certezze del ragazzo: forse suo padre è vivo. La voce gli dà solo un nome, un indizio da cui Alex parte per una sorta di terribile caccia al tesoro, che d’ora in poi assorbe le sue giornate. Incontra l’uomo indicato dalla telefonata, poi altri. Ciascuno dei suoi interlocutori gli rivela qualcosa del padre e gli dà una traccia in più per continuare la ricerca. Con il ritmo incalzante di un thriller, il cammino di Alex si immerge sempre più in un buio minaccioso, costellato di morti enigmatiche e dominato dalla figura inquietante dell’uomo che lui cerca e di cui sta ricostruendo, con sgomento crescente, la personalità. Ma questo viaggio iniziatico dentro una Milano labirintica e visionaria, destinato a un finale da tragedia elisabettiana, è anche addolcito da squarci lirici e tenerezze inattese. Nel 1991 questo romanzo segnò l’esordio di uno scrittore che insieme a coetanei come Lucarelli, Pinketts, Fois e altri avrebbe rinnovato profondamente il noir italiano, spezzando le barriere del genere e facendone uno strumento duttile e raffinato, in grado di esplorare tanto le inquietudini generazionali quanto le voragini dell’Io, tanto la realtà sociale che cambia quanto le paure e i desideri immutabili che ci visitano. A distanza di oltre dieci anni l’autore ha sentito il bisogno di riscriverlo interamente, nel rispetto della sorprendente struttura narrativa che era ed è la forza del libro, per catturare con un nuovo linguaggio nuove tensioni.





Giudizi critici

“Un giallo che è molto di più, e sa di esserlo... il legame padre-figlio, la cecità del veggente, l’associazione eros-dolore sono temi antichi, ma Montanari ne trae qualcosa di nuovo” (Goffredo Fofi, «L’Unità»).

“Un ambiente metropolitano ritratto con visionario realismo” («la Repubblica»).

“I personaggi di Raul Montanari sono davvero intensi come la disperazione che interpretano” (Michele Trecca, «La Gazzetta del Mezzogiorno»).

“L’atmosfera incalzante ed enigmatica del thriller, il narrare incisivo e serrato, ove situazioni e personaggi s’intrecciano e si corrispondono... il risultato è un romanzo di formazione tragico, inquietante, polivalente” (Daniela Rasia, «Letture»).

“Un contrappunto rispetto al duro Che cosa hai fatto, discesa nelle bolge infernali del sesso e del disordine contemporaneo” (Daniele Piccini, «Il Giornale»).

“Un labirinto oscuro, un percorso a ostacoli disseminato di indizi inquietanti e un adolescente solo, perso in una spietata caccia al tesoro con una posta singolare: il padre che non ha mai conosciuto... Il linguaggio è limpido, trasparente, come sempre nei romanzi di Montanari” («La Sicilia»).

“Un’attenzione straordinaria allo spazio vitale del corpo, sul quale è fisso l’occhio robbe-grillettiano dello scrittore (quell’occhio che campeggia allucinato nell’acida copertina del romanzo)... Il buio divora la strada è guidato da una singolare suspense, come ovattata nel vuoto...” (Patrizia Danzè, «Stilos»).

“Montanari ha la forza, stilistica e narrativa, di inchiodare il lettore a una sedia che non è mai mentale: è capace, come pochi, di trasformare il gioco perverso della letteratura in un circuito erotico che non va mai in corto” (Gian Paolo Serino, «Il mucchio selvaggio»).





Visto da me

Mi sembra ancora una bella storia, forse una delle più suggestive che ho mai inventato, ma con una scrittura in parte irrisolta. La vicenda è ispirata alla Telemachia, la sezione iniziale dell’Odissea (canti I-IV) e certamente la meno conosciuta: come Telemaco, anche Alex vive con una bella mamma insidiata da pretendenti che lui detesta, e parte alla ricerca del padre dopo aver avuto notizia che è ancora vivo.
La vera forza del libro sta nella sua singolare struttura narrativa: la vicenda raccontata finisce per irrompere dentro la cornice e invadere lo spazio di chi la racconta. Era molto letterario e muscolare nella prima versione, ora è più fluido ma continua a non essere fra i miei romanzi preferiti e non lo considero una buona introduzione al mio universo narrativo; casomai uno sfizio da prendersi dopo aver letto altri titoli. Peraltro ha sempre avuto degli estimatori molto convinti: prima Goffredo Fofi e Giovanni Testori, più di recente Marcello Fois, che si ostina a definirlo il mio libro migliore.
Entrambe le copertine italiane mi piacciono moltissimo, specie la seconda, ma in libreria risultavano agghiaccianti.






La prima pagina (versione 2002)

Spalanco una porta, poi un’altra, urtandola con la spalla come se volessi abbatterla invece di aprirla.
La tenda rossa del corridoio mi chiude la vista. Infilo le mani fra i suoi drappeg­gi e mi lascio inghiottire. Tutto il resto – il viaggio in auto, l’odore delle foglie marce lungo il sentiero che sale in cima alla collina, e prima ancora i sogni orribili e il risveglio di stamattina... è come se dimenticassi ogni cosa attraversando questo velluto carico di polvere, di ricordi non miei. Un altro uomo l’ha messo qui molto tempo fa, e io non l’ho mai tolto.
Nessuno fuori, nessuno all’ingresso e qui nel corridoio. Chiunque potrebbe entrare nella villa come sto facendo io! Dov’è la gente che dovrebbe sorvegliarla?
Appoggio una mano al muro, tiepido come l’aria chiusa che mi circonda. Poi faccio due passi e mi fermo davanti all’ultima porta, quella della stanza in cui passerò il pomeriggio. Mi volto: sulla parete di fronte, una fi­nestra incornicia il paesaggio in cui camminavo un minuto fa, l’erba, gli alberi, i cespugli.
Mi accosto al vetro. Basta un attimo ed eccola, la voglia di rimandare l’incontro, andarmene… Tanto, nessuno mi ha visto entrare. Potrei uscire da questa trappola e camminare fuori, fra tutti quei colori. Non ho preso nessun impegno, posso fare quello che voglio. Potrei anche tornare da dove sono venuto e mollare tutto, forse. In ogni caso, questa storia è già finita prima di cominciare.
Abbasso lo sguardo. Poi di nuovo fisso la curva della col­lina e gli alberi che impediscono di vedere il paese, più in là.
No. Non sono più libero.
La prima busta con i documenti è già partita. L’ho imbucata due ore fa, uscendo da Milano, e adesso sta viaggiando, lontana dalle mie mani ormai. Nemmeno io potrei fermare quello che è cominciato.