Raul Montanari


L'esordiente



Dalle note di copertina

Livio Aragona è uno scrittore noir cinquantenne. Nudo davanti allo specchio, all'alba del 2009, si scatta una fotografia, come fa ogni primo di gennaio da quando era ragazzo. Ma non immagina quale terremoto sta per sconvolgere la sua vita. Preso fra l'ambizione di vincere il più prestigioso premio letterario italiano, l'amore per un'autrice esordiente della quale non ha nessuna stima come scrittrice e la trama pericolosa che un criminale tesse intorno a lui, Livio vedrà le sue certezze andare in frantumi, in un crescendo tragicomico e visionario punteggiato di colpi di scena, fino a un finale pirotecnico. Romanzo di tensione, storia di un amore tormentato, ritratto di un uomo giunto al crocevia della propria esistenza e satira del mondo letterario, questo libro prosegue il percorso "post-noir" di Raul Montanari, che tanto interesse e polemiche ha suscitato. La scommessa di raccontare con le cadenze implacabili del thriller storie lontanissime dai luoghi comuni della narrativa poliziesca.





Giudizi critici

“"La sorpresa è che la materia, frullata da Raul Montanari nella storia in prima persona di uno scrittore, diventi l'ingrediente di una macchina narrativa efficace 'nonostante' gli ammicchi. Sarà che in L'esordiente c'è molto altro, o sarà che se la scrittura tiene rende letteratura persino le beghe tra un autore e il suo editore" (Maurizio Bono, «Repubblica»).

“"Il divertimento è assicurato non solo per chi frequenta quel mondo. Montanari è riuscito a raccontarcelo con uno sguardo obliquo attento a schivare i luoghi comuni" (Brunella Schisa, «Il Venerdì di Repubblica»).

“"Un thriller, per essere tale, non deve parlare per forza di assassini seriali, detective cinici ma buoni e revolver («A»).

“"Montanari riempie questo romanzo di sogni, voci, personaggi che abitano dentro ognuno di noi. Coglie inquietudini, paure, desideri maschili, affronta la malattia, la violenza fisica. È un conto alla rovescia che conduce a una resa dei conti inaspettata e sorprendente. Al cuore doloroso dell' esistenza" (Cristina Tirinzoni, «Psychologies»).

"La totale padronanza sulla struttura e una forma che si scioglie spontaneamente sulla pagina, gli consentono di concentrarsi sugli aspetti introspettivi e inaspettati della storia. Terminato il romanzo, ne saprete di più sul mondo della scrittura. Vi metterete l'animo in pace e capirete che c'è poco da sondare, le cose stanno così: alle dannazioni non ci sono spiegazioni" (Marilù Oliva, www.corpifreddi.blogspot.com).

"Con L'esordiente, Raul Montanari non solo riprende il fulcro tematico di Strane cose, domani - il suo eccezionale romanzo del 2009 - ma arriva a spingerle a conseguenze addirittura più estreme. Una feroce e crudele, disperata e disperante, autopsia laparotomica non solo della situazione psicologica del narratore ma della condizione umana tout-court" (Sergio Altieri, «Carmilla»).

"E' il più divertente dei romanzi di Raul Montanari, ed è anche un libro che farà impazzire gli aspiranti scrittori. E' un romanzo sul talento, ma anche su come va il mondo tra uomini e donne" (Daria Bignardi, «Donna Moderna»).

"È un'esperienza singolare farsi trascinare nel gorgo esistenziale sinistro e torbido dei romanzi di Raul Montanari. Che Montanari non sia un giallista è un dato di fatto: le sue storie avvincono e coinvolgono, disturbano, ma non portano il lettore a caccia di una soluzione delittuosa. Montanari è un'ombra che ci cammina a fianco e ogni tanto ci fa capire che i ritmi della quotidianità sono il paravento di un delirio esistenziale che è lì, pronto divorarci tutti" (Sergio Pent, «La Stampa»).

"Giallista disilluso s'innamora di un'esordiente della sua scuola di scrittura che però non stima come autrice e si mette pure in mente di vincere un premio letterario così non lo considerano più un giallista. Uno dice: Uh, sai che tramone. E invece poi... E invece poi il lettore si diverte. S'appassiona. Sorride. A tratti ride, perfino" (Stefania Vitulli, «Il Giornale»).

"Avvincente thriller psicologico e impietosa satira della società letteraria si fondono nel nuovo romanzo di Montanari. Un libro duro, privo di reticenze, con più di un colpo di scena" (Roberto Carnero, «Famiglia Cristiana»).

"Un romanzo dai risvolti metanarrativi che però fungono da fondale, interessando a Montanari la dimensione interiore dei personaggi... che sola può condurre lontano narrativamente, quale tramatura di contrasti tesi alla esplosione. Che poi è la struttura di post noir teorizzata dallo stesso Montanari, intendendo il noir non quale elemento centrale con tanto di investigazioni esteriori, ma doloroso punto d'arrivo di necessità interiori snodantisi per tutto il racconto" (Ermanno Paccagnini, «Il Corriere della Sera»).

"Montanari, che proprio come il personaggio di Livio Aragona ha una solida esperienza di giallista, è un maestro. Sa dilatare al punto giusto le pause, sa portare il lettore verso un finale minaccioso, che precipita in crescendo verso una scena memorabile sul greto di un fiume, in una notte di pioggia che evoca l'epilogo di Cape Fear di Scorsese" (Mauro Baldrati, «Nazione Indiana»).

"Di tutti i narratori italiani che cercano di sprigionarsi dall'attrazione gravitazionale del genere, Montanari è l'unico che sia riuscito a oltrepassare, forte d'una tenace determinazione, quell'orbita. Lo ha fatto in particolare negli ultimi tre romanzi (per i quali non pare ardita la definizione di trilogia) e proprio con L'esordiente la sua scrittura attinge a un territorio ancora inesplorato, mettendo il proprio talento a servizio di una vicinanza a sé stessi quasi rischiosa, ben simboleggiata dall'immagine di vulnerabile nudità su cui s'apre il libro. Calibratissimo ritratto in nero del mondo dell'editoria, bilancio spietato del proprio lavoro, romanzo d'introspezione sincera fino all'impudicizia e assieme d'audace invenzione: L'esordiente è un'opera che, proprio dalla sua contraddittorietà, dalla sua imperfezione, dalla sua libertà trova le risorse per essere il migliore, il più romanzo dei romanzi di Montanari" (Teo Lorini, «Pulp»).







Visto da me

Raul Montanari presenta su Youtube il suo nuovo romanzo "L'esordiente"







La prima pagina

Faccio mezzo passo indietro perché la luce mi schiarisca le occhiaie e l'ombra sotto il naso si assottigli fino a scomparire. Ecco. Così.
Alzo la fotocamera digitale davanti allo stomaco e la punto contro lo specchio. Cerco l'inclinazione giusta, provo ad abbassarmi e spiare dal mirino tenendola a mezz'aria, sempre alla stessa altezza. Torno dritto, guardo negli occhi la mia immagine riflessa. Irrigidisco i muscoli, faccio lo sguardo da cattivo che mi dona e scatto tre volte. Almeno una verrà bene!
Vado nel mio studio e collego la fotocamera al computer. Stampo subito le foto e le confronto. Come previsto: due sono da buttare, quella buona è la seconda. Mi siedo.
Sulla scrivania sono sparse tutte le foto che mi sono fatto, nudo davanti a uno specchio, ogni primo di gennaio da trent'anni in qua: dai quasi venti ai quasi cinquanta, dunque, perché il mio compleanno cade il 19.
Lancio appena un'occhiata distratta alla faccia del ragazzotto che sono stato all'inizio, magro magro, con i capelli prima a cespuglio e poi ondulati. Dietro la foto c'è scritto: "Livio Aragona, 1 gennaio 1979". Drammatico cambio di pettinatura dai ventiquattro ai venticinque: compare un caschetto ridicolo che sembra appoggiato sopra un teschio. Gli occhi sempre nerissimi, liquidi. I muscoli si gonfiano e i capelli si afflosciano man mano che le foto si arrampicano verso i trent'anni, ma l'impressione generale migliora. Scompaiono quelle gote scarnificate, i lineamenti si arrotondano, la mascella più quadrata, le labbra sottili e piene di scherno per me stesso. A quota trentaquattro il cambiamento decisivo: capelli rasi stile marine. Non proprio a zero, ma un tappeto di crine alto non più di un centimetro. Le spalle, così, sembrano più larghe, i pettorali inspessiti dalle flessioni che facevo ogni giorno e che adesso ho ridotto a tre sessioni la settimana - ma i manubri con i dischi di ghisa scrostati sono sempre quelli, perché da sole le flessioni servono a poco. La mia personale, privata perfezione intorno ai quaranta, come se la faccia e il corpo avessero trovato la loro vera forma, dopo averla cercata così a lungo. Questo sono io!, dice lo sguardo soddisfatto, spavaldo e assonnato, perché le regole del gioco vogliono che questa foto sia il rito di ogni risveglio a Capodanno, senza nemmeno lavarmela, la faccia. Da qui in avanti, un lungo plateau su cui cammino senza che succeda niente di particolare. Qualche punto grigio fra i capelli, ma il trucco di tenerli così corti tiene lontani angosce e traumi. La mascella si appesantisce appena, di lato al mento la linea che corre verso l'orecchio è più morbida. Fra dieci anni sarà floscia e non mi piacerà; adesso è ancora presto. Le palpebre gonfie, la destra che copre le ciglia, e sotto gli occhi le borse che quindici anni fa mi hanno tanto preoccupato, mentre ora non le vedo nemmeno più.
Una volta ero orgoglioso quando mi dicevano che dimostravo un buon decennio meno della mia età, e dispensavo formule e ricette. Adesso invece dico a tutti che sono i geni, che mio padre era così e mia mamma, più vicina agli ottanta che ai settanta, fa ancora girare la testa agli uomini. Mi sento un aristocratico della giovinezza. Il corpo, in ogni caso, non comunica col mondo in linea retta, ma di rimbalzo. Non è il tuo corpo a piacere o dispiacere agli altri: sei tu. Se a te il tuo corpo piace, piacerà anche agli altri. Certo, se il tuo corpo è bello è più facile che piaccia a te, e quindi agli altri. Ma non sempre funziona così.