Raul Montanari


Dio ti sta sognando



Dalle note di copertina

Una lunga notte ai confini fra realtà e sogno. Nella clinica dove è ricoverato per una malattia allo stadio terminale, un commissario di polizia in pensione risolve il suo ultimo caso interrogando non solo indizi e testimoni, ma più ancora le visioni allucinate e rivelatrici che gli procura la morfina. Davanti alla clinica, intanto, un principe africano in esilio che fa il lavavetri e un demoniaco duca celta intrecciano i propri destini in una strana amicizia di poche ore, destinata a concludersi nel modo più sorprendente.
Dopo aver portato alle estreme conseguenze i meccanismi della detective story nel suo romanzo precedente (in cui il lettore si trasformava in assassino) Montanari torna a esplorare le zone ai confini della narrativa di genere. Sotto il segno di Graham Greene e Friedrich Dürrenmatt, i grandi totem della letteratura d'azione del '900 - giallo e spy story - vengono messi in scacco in due storie parallele nelle quali il fascino avvincente della trama soccombe all'emozione, all'inquietudine, alla ricerca del senso ultimo dell'esistenza.






Giudizi critici

“Diventa ancora più intensa, manifesta e inquietante la dimensione morale, nella continua diatriba tra bene e male, tra colpa e innocenza, nelle storie di Raul Montanari, scrittore, oggi, tra i più complessi... Questo romanzo è dedicato a Giovanni Testori, che ne è stato primo lettore entusiasta, ma con ascendenze che rimandano a Dürrenmatt...” (Fulvio Panzeri, «L’Avvenire»).

“Ci sono libri che finisci, chiudi metti da parte. Ma l’atmosfera della storia continua comunque a seguirti. Ebbene, questo è uno di quelli” (Chicca Gagliardo, «Glamour»)

“Un romanzo in cui la scelta del genere si fa pretesto per un discorso sull’uomo e sulla sua fragilità” («www.Alice.it»)

“C’è un’aria di sfatta contemporaneità, di disastro avvenuto e di fine in quello che è molto più che un piccolo giallo, Dio ti sta sognando di Raul Montanari... Voce narrante senza enfasi, Montanari indaga, con cadenze rallentate che sostengono il dramma, la logica senza logica del nostro tempo” (Giovanni Pacchiano, «Il Corriere della Sera»).

“Leggendo i libri di Montanari la prima sensazione, che si avverte dopo poche righe, è che qualcosa è già successa... Tra spettacolari carrellate degne figlie letterarie del miglior Kubrick e momenti di intensa espressività visionaria, l’autore ci accompagna negli abissi della mente” (Gianluca Mercadante, «Orizzonti»).






Visto da me

Una grande occasione mancata, ma anche una di quelle battaglie che forse vale la pena di perdere.
Questo romanzo breve contiene alcune fra le pagine più belle che ho mai scritto, ma la struttura è basata su un’idea che considero sbagliata. Come nel caso della Perfezione, anche qui c’era un nucleo originario di circa 60 pagine (la storia del commissario morente) che è stato portato a 120 aggiungendo, in una tipica griglia a narrazione alternata, la bizzarra spy story del principe africano. Oggi non avrei nessuna esitazione a sacrificarla, per suggestiva che sia, e sviluppare la vicenda solo all’interno della clinica. Ho avuto paura di lavorare su una situazione troppo claustrofobica e ho cercato un controcanto all’immobilità e alle allucinazioni del commissario, con la storia quasi picaresca di Walid al Khabir e del terribile duca celta, ma tutti quelli che amano questo libro si tengono dentro l’affetto per il poliziotto morente, l’anti-giallo che si svolge nella clinica.
Perché anti-giallo? Perché nella detective story del commissario Astrea vengono a mancare due presupporti fondamentali del giallo tradizionale. Anzitutto la sua indagine non è quella di un investigatore raziocinante ma piuttosto di uno sciamano, che interroga le proprie visioni e i propri incubi per arrivare alla verità. In secondo luogo la morte violenta, che nel giallo-noir è il motore della vicenda, qui non solo rimane fuori scena ma è emotivamente sovrastata dalla morte “naturale” del commissario, dal suo affondare lentamente, orribilmente, dolcemente, nel lago che simboleggia il non essere.
Il libro è amatissimo da chi conosce tutta la mia produzione e può permettersi di scegliere e di fare lo schizzinoso. E’ forse il mio titolo che ha avuto minor successo di pubblico, ed è chiaro il perché, a partire dal viola sfigoso della copertina. Lo zoom dall’infinito alla panchina (sequenza iniziale) e il soprattutto il carrello indietro dalla panchina all’infinito che chiude il libro sono stati cavalli di battaglia sicuri nei reading, anche recenti.






La prima pagina

Prima fu buio e silenzio. Senza rumori, senza confini. Buio e un grigio immobile nulla. Colore del vuoto.
Poi qualcosa si mosse, come uno sguardo o un immenso motore che si avvia - piano da principio e poi veloce, sempre più veloce. E allora luci pulsanti, qua e là, disegnarono l'infinito, e ancora buio e ancora luce, buio e una volta arcuata di punti luminosi.
Eccolo, il pianeta, l'alveare che girava su se stesso, e un brusio si levava dal pianeta, buio tutt'intorno e luce nell'aria, e immense chiazze distese si aprirono laggiù - oceani, continenti, ancora buio e grigio di nubi e luce di lampi remoti, scendendo, poi una corona di montagne nere sui fianchi e bianche in punta, una pianura percorsa dal nastro luccicante di un fiume, e altri fiumi e città come macchie sul fondo della pianura, legate fra loro da strade e canali e ferrovie, e una città più grande che fu subito un reticolo di vie, piazze, angoli d'ombra, buio e luce di case vetrine finestre lampioni, infine uno slargo, un prato, una panca, e sopra la panca c'erano due uomini e un terzo camminava sull'erba del prato e i due uomini voltarono le teste e uno di loro parlò.