
Il disegno magico
Dalle note di copertinaMilano, gennaio 2022. L’ultimo lockdown. Da poco vicini di casa, Francesca e Angelo, trentenni, si ritrovano soli nel palazzo vuoto: Angelo ha promesso a Francesca il racconto di certi fatti misteriosi che hanno segnato la sua vita. All’inizio c’è l’incontro con una ragazzina che nell’estate del 2000 gli ha svelato i segreti del “disegno magico”, un mezzo infallibile per sapere tutto di una persona, presente, passato e forse anche futuro. Quel breve amore estivo si era concluso in tragedia ed era scivolato nell’oblio ma, anni dopo, fili sotterranei si erano riallacciati, figure enigmatiche erano comparse nella vita di Angelo. Nessuno era ciò che diceva di essere, ogni gesto e parola avevano un significato nascosto, minaccioso. Angelo racconta e Francesca interroga e commenta, a volte divertita, a volte sgomenta, severa, sempre curiosa. Il buio avvolge ormai il palazzo e fra i due pare nascere un sentimento senza nome, mentre le vicende narrate corrono, fra svolte e sorprese, verso un esito drammatico. Ma solo quando la storia sembrerà finita, e la notte sarà entrata nelle sue ore più profonde, agli occhi del lettore si rivelerà il vero disegno magico che ha unito questi destini.
Giudizi critici
Visto da me
Ormai ho pubblicato più di cento fra romanzi e racconti, eppure Il disegno magico è forse la prima vera storia di vendetta che scrivo. La cosa è abbastanza strana per due motivi.
Il primo è che la vendetta è un tema comunissimo, fin da Omero: nell’Iliade Achille torna a combattere per vendicare la morte di Patroclo. La troviamo nella tragedia greca e latina, in Shakespeare (il testo teatrale più famoso di tutti i tempi, l’Amleto, non è un dramma di vendetta?), giù giù fino al noir del Novecento, dove la vendetta è rappresentata in tutte le sue sfumature.
Il secondo motivo è più personale.
Nella mia narrativa c’è un elemento ricorrente ed è che il passato presenta i conti al presente. Ci sono sempre almeno due piani temporali, quello delle cose che accadono ora e quello dei fatti che sono accaduti prima e che hanno lasciato un segno, una tensione che chiede di venire risolta.
È una cosa in cui credo con tutto me stesso: il passato è una parola ingannevole perché non passa affatto, mai. Noi siamo seduti sul nostro passato, che non è un deposito di materiali inerti ma agisce come un magnete, ci condiziona al punto che a volte sospetto che il libero arbitrio sia solo un’illusione. Non c’è decisione, amore, odio, paura, desiderio di oggi che non si possa ricollegare a eventi del nostro passato.
Ora, la vendetta cos’è se non un’azione che cerca di colmare il vuoto rancoroso lasciato in noi da un torto subito nel passato?
Di nuovo, gli estimatori di Ric Velardi (sono parecchi!) saranno contenti di ritrovarlo anche qui, più imprevedibile, ironico e indispensabile che mai. E con lui ritorna, per la terza volta consecutiva, Han: l’organizzazione segreta di cacciatori di scafisti, gli implacabili giustizieri neri che della vendetta - una vendetta ben diversa da quella privata che sta al centro della vicenda - hanno fatto una vocazione.
.
La prima pagina
«Sicura?»
«Sicura.»
«Non sarà breve.»
«Abbiamo tempo.»
Angelo, steso sul letto di fianco alla libreria nera, prende un gran respiro, come una rincorsa. Io sono seduta su questa strana poltrona, una specie di chaise longue il cui designer, a metà della progettazione, dev’essere stato distratto da una telefonata, un terremoto o altro. «Sei comoda?» chiede lui.
Alzo le spalle. «Per ora sì. Poi semmai passeggerò per la stanza.»
«Sdraiata qui vicino a me staresti meglio. Non ti toccherò con un dito, giuro.»
«Scordatelo. Io sono qua perché mi hai promesso di raccontarmi questa storia così eccezionale che ti è successa, mi interessa solo questo. Mi piacciono, le storie. Più delle persone», aggiungo, e mi sorprende quanto è vero quello che ho appena detto.
«Peccato.»
«Guarda che mi alzo e torno giù a casa mia!»
«No, Francesca, dai… mi sto ammazzando di noia con questa quarantena maledetta.»
«Non dirlo a me.»
«Almeno si potesse fare una festa nel palazzo. Sai che quando è cominciato l’incubo, a marzo di due anni fa, l’avevo immaginato? Te lo ricordi il primo lockdown, quello duro, no? Bisognava stare chiusi nelle case tutti quanti, ma con la compagnia giusta avrebbe potuto essere divertente. Come in quel racconto di Poe, La maschera della morte rossa. Fuori c’è un’epidemia, proprio come è successo a noi, e questo principe Prospero si chiude in un castello con i suoi amici…» «Finiscono tutti morti, però. Conosco quel racconto.»
Angelo annuisce. «Be’, in ogni caso sarebbe mancato il materiale umano perché oltre a me c’era solo la vecchia Luciana, al piano di sopra. Ah no, anche un altro vecchio con la badante, ma poi l’hanno portato via perché ormai era demente. Quindi, figurati. Meno male che un mese fa sei arrivata tu. A proposito, non è che me l’hai attaccato tu il virus?»
«E quando?»
«Tutte le volte che ti incontravo sulle scale non portavi la mascherina.»
«Neanche tu! L’avrai attaccato tu a me.»
Angelo ridacchia ma è molto pallido nella luce che invade la stanza, la luce fredda di gennaio che ho sempre amato. La stanza gli fa da camera, sala e studio. Questo appartamento mi piace più di quello che ho preso in affitto io all’ammezzato, tutto spezzettato perché ha tre locali e non due ma la metratura è la stessa. Nel palazzo regna un silenzio di tomba, è il caso di dirlo. È come ha detto lui: ci siamo solo noi, e Luciana.
«Ma ce la fai? Mi sembra che a parlare ti affatichi.»
«Mi stancherei di più a stare chiuso qui dentro da solo, come un imbecille.»
«Allora comincia.»
Angelo guarda il soffitto a lungo. Poi schiocca le labbra e sul suo viso perfetto, in armonia col nome, cala un’espressione concentrata, attenta, come se vedesse qualcosa che io non vedo. «All’inizio c’è una casa molto diversa da questa. Era l’anno 2000 e ti posso dire il giorno preciso perché per tanti motivi non l’ho mai dimenticato: il 3 agosto, un giovedì.»