Raul Montanari


Il disegno magico



Dalle note di copertina

Milano, gennaio 2022. L’ultimo lockdown. Da poco vicini di casa, Francesca e Angelo, trentenni, si ritrovano soli nel palazzo vuoto: Angelo ha promesso a Francesca il racconto di certi fatti misteriosi che hanno segnato la sua vita. All’inizio c’è l’incontro con una ragazzina che nell’estate del 2000 gli ha svelato i segreti del “disegno magico”, un mezzo infallibile per sapere tutto di una persona, presente, passato e forse anche futuro. Quel breve amore estivo si era concluso in tragedia ed era scivolato nell’oblio ma, anni dopo, fili sotterranei si erano riallacciati, figure enigmatiche erano comparse nella vita di Angelo. Nessuno era ciò che diceva di essere, ogni gesto e parola avevano un significato nascosto, minaccioso. Angelo racconta e Francesca interroga e commenta, a volte divertita, a volte sgomenta, severa, sempre curiosa. Il buio avvolge ormai il palazzo e fra i due pare nascere un sentimento senza nome, mentre le vicende narrate corrono, fra svolte e sorprese, verso un esito drammatico. Ma solo quando la storia sembrerà finita, e la notte sarà entrata nelle sue ore più profonde, agli occhi del lettore si rivelerà il vero disegno magico che ha unito questi destini.







Giudizi critici

“La vita, ci dice Raul Montanari, è, in fondo, una tragedia che va vissuta come una commedia” (Vincenzo Guercio, «L’Eco di Bergamo»).

“Il mistero delle storie di Montanari è il mistero delle nostre vite che quotidianamente si ripropone quando siamo chiamati a confrontarci con ciò che ci accade e ci sconvolge, con le nostre gioie e i nostri dolori, con gli innumerevoli bivi di fronte ai quali ci troviamo obbligati a scegliere” (Romano De Marco, www.libroguerriero.wordpress.com)

“Raul Montanari torna nelle nostre giornate con il suo stile magnetico, uno stile che, nonostante gli anni trascorsi, non ha perduto un solo briciolo di potenza. Casomai è vero il contrario. L’ennesimo colpo da maestro di un autore che riesce sempre a stupire.” (www.sololibri.net)

“La vera ambientazione del libro è l’animo umano con i suoi sentimenti e con le sue infinite sfaccettature.” (Cristina Aicardi, «Milano Nera»)

“La tensione crescente, la violenza, il mistero sono tutti elementi ben presenti; ma alla fine della lettura non abbiamo trovato soltanto una risposta agli interrogativi che ci siamo posti pagina dopo pagina (chi sono davvero i buoni e i cattivi? come finirà? chi soccomberà? questo personaggio è proprio quello che sembra?), abbiamo scoperto qualcosa di importante di noi stessi. E questa scoperta è ciò che chiediamo alla letteratura oggi, dopo millenni di storie narrate, sentimenti indagati e personaggi che abbiamo amato, odiato, compatito, nei quali ci siamo immedesimati.” (Rosalia Messina, «Letteratitudine»)

“Un appassionante intreccio di destini che si snoda tra le trappole della passione e il sottile gioco delle induzioni.” («Corriere della Sera» edizione Bergamo.)

“Credo che un narratore sia uno che non dice mai ‘loro’, tanto meno dice ‘voi’, ma dice sempre ‘noi’ o ‘io’. Non dice per esempio ‘loro uccidono’ ma dice ‘noi uccidiamo, gli uomini uccidono’.
Non c’è niente di quello che un essere umano può fare, nella santità o nell’orrore, con tutte le sfumature intermedie, che io non ritrovi in me. Magari in piccola parte ma c’è sempre.” (Intervista di Andrea Canova, www.7per24.it)

“Questo è davvero un post-noir: non importa la soluzione ma come ci si arriva, conta il viaggio e non la meta. Oltre a ciò, Il disegno magico è una storia gentile. Racconta abissi ma anche la necessità di andare avanti.” (Loredana Lipperini, «Fahrenheit», RadioRai3)

“Nel ritmo serrato e nell’intreccio perfetto del romanzo, Montanari tocca passioni, ossessioni, figure e luoghi chiave di altre sue opere. Lo fa sottotraccia e con maestria, puntando infine su un possibile sguardo, risolutivo, fra i due protagonisti.” (Alessandro Beretta, «Corriere della Sera - La lettura»).

“Montanari ci racconta gli abissi dell’animo umano, ma anche le vette che potrebbe raggiungere. È un romanzo che andrebbe adottato per lo stile nelle scuole di scrittura, perché Montanari è tra i pochi autori italiani capaci di costruire dialoghi che siano credibili e, insieme a Tiziano Scarpa, è lo scrittore forse più colto in Italia. Ogni suo romanzo, sin dagli esordi, è un petalo di rosa gettato nell'apparente vuoto del Grand Canyon.” (Gian Paolo Serino, «Il Giornale»)

“La situazione in cui si trovano Angelo e Francesca, costretti a stare uno di fronte all’altra e a mostrare la verità dei loro corpi, dei loro sguardi, delle loro voci, ci affascina perché è l’opposto dei rapporti virtuali, dove la distanza incoraggia manipolazione di sé e menzogna.” (Marco Casa, Radio Marconi)

“Una danza a due senza tregua, con passi lenti ma incandescenti… poi una corsa a perdifiato verso l’abisso” (Marta Ghezzi, «Il Corriere della Sera»).

“Trascina il lettore dentro il mondo delle emozioni” (Paolo Gualandris, «La Provincia»).

“Raul Montanari ha scritto, come è suo solito, un libro molto avvincente, di quelli che ti costringono a non abbandonarlo finché non l’hai finito. È un thriller psicologico molto ben orchestrato e dotato di uno stile per certi versi sperimentale. Il fatto che la diegesi procede attraverso un dialogo conferisce al testo una struttura quasi teatrale e un senso di immediatezza per cui chi legge ha la sensazione di trovarsi sul set del racconto. Alla trama mozzafiato è sottesa peraltro una precisa problematica morale: «La vendetta ha a che fare col passato, il perdono col futuro. La vendetta perde tempo a chiudere un conto col passato, il perdono apre un orizzonte sul futuro».” (Roberto Carnero, «L’Avvenire»)

“Un grande scrittore può scrivere di tutto. Senza essere scontato, senza annoiare, senza risultare indigesto. Raul Montanari ci riesce – non che io avessi dubbi, parliamo di uno dei capisaldi del noir italiano.” (Oriana Ramunno, www.contornidinoir.it).

“In un vero e proprio thriller il re del post-noir avvince il lettore fino alla fine.” (Orsola Vetri, «Famiglia Cristiana»)







Visto da me

Ormai ho pubblicato più di cento fra romanzi e racconti, eppure Il disegno magico è forse la prima vera storia di vendetta che scrivo. La cosa è abbastanza strana per due motivi.
Il primo è che la vendetta è un tema comunissimo, fin da Omero: nell’Iliade Achille torna a combattere per vendicare la morte di Patroclo. La troviamo nella tragedia greca e latina, in Shakespeare (il testo teatrale più famoso di tutti i tempi, l’Amleto, non è un dramma di vendetta?), giù giù fino al noir del Novecento, dove la vendetta è rappresentata in tutte le sue sfumature.
Il secondo motivo è più personale.
Nella mia narrativa c’è un elemento ricorrente ed è che il passato presenta i conti al presente. Ci sono sempre almeno due piani temporali, quello delle cose che accadono ora e quello dei fatti che sono accaduti prima e che hanno lasciato un segno, una tensione che chiede di venire risolta.
È una cosa in cui credo con tutto me stesso: il passato è una parola ingannevole perché non passa affatto, mai. Noi siamo seduti sul nostro passato, che non è un deposito di materiali inerti ma agisce come un magnete, ci condiziona al punto che a volte sospetto che il libero arbitrio sia solo un’illusione. Non c’è decisione, amore, odio, paura, desiderio di oggi che non si possa ricollegare a eventi del nostro passato.
Ora, la vendetta cos’è se non un’azione che cerca di colmare il vuoto rancoroso lasciato in noi da un torto subito nel passato?
Di nuovo, gli estimatori di Ric Velardi (sono parecchi!) saranno contenti di ritrovarlo anche qui, più imprevedibile, ironico e indispensabile che mai. E con lui ritorna, per la terza volta consecutiva, Han: l’organizzazione segreta di cacciatori di scafisti, gli implacabili giustizieri neri che della vendetta - una vendetta ben diversa da quella privata che sta al centro della vicenda - hanno fatto una vocazione.

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La prima pagina

«Sicura?»
«Sicura.»
«Non sarà breve.»
«Abbiamo tempo.»
Angelo, steso sul letto di fianco alla libreria nera, prende un gran respiro, come una rincorsa. Io sono seduta su questa strana poltrona, una specie di chaise longue il cui designer, a metà della progettazione, dev’essere stato distratto da una telefonata, un terremoto o altro. «Sei comoda?» chiede lui.
Alzo le spalle. «Per ora sì. Poi semmai passeggerò per la stanza.»
«Sdraiata qui vicino a me staresti meglio. Non ti toccherò con un dito, giuro.»
«Scordatelo. Io sono qua perché mi hai promesso di raccontarmi questa storia così eccezionale che ti è successa, mi interessa solo questo. Mi piacciono, le storie. Più delle persone», aggiungo, e mi sorprende quanto è vero quello che ho appena detto.
«Peccato.»
«Guarda che mi alzo e torno giù a casa mia!»
«No, Francesca, dai… mi sto ammazzando di noia con questa quarantena maledetta.»
«Non dirlo a me.»
«Almeno si potesse fare una festa nel palazzo. Sai che quando è cominciato l’incubo, a marzo di due anni fa, l’avevo immaginato? Te lo ricordi il primo lockdown, quello duro, no? Bisognava stare chiusi nelle case tutti quanti, ma con la compagnia giusta avrebbe potuto essere divertente. Come in quel racconto di Poe, La maschera della morte rossa. Fuori c’è un’epidemia, proprio come è successo a noi, e questo principe Prospero si chiude in un castello con i suoi amici…» «Finiscono tutti morti, però. Conosco quel racconto.»
Angelo annuisce. «Be’, in ogni caso sarebbe mancato il materiale umano perché oltre a me c’era solo la vecchia Luciana, al piano di sopra. Ah no, anche un altro vecchio con la badante, ma poi l’hanno portato via perché ormai era demente. Quindi, figurati. Meno male che un mese fa sei arrivata tu. A proposito, non è che me l’hai attaccato tu il virus?»
«E quando?»
«Tutte le volte che ti incontravo sulle scale non portavi la mascherina.»
«Neanche tu! L’avrai attaccato tu a me.»
Angelo ridacchia ma è molto pallido nella luce che invade la stanza, la luce fredda di gennaio che ho sempre amato. La stanza gli fa da camera, sala e studio. Questo appartamento mi piace più di quello che ho preso in affitto io all’ammezzato, tutto spezzettato perché ha tre locali e non due ma la metratura è la stessa. Nel palazzo regna un silenzio di tomba, è il caso di dirlo. È come ha detto lui: ci siamo solo noi, e Luciana.
«Ma ce la fai? Mi sembra che a parlare ti affatichi.»
«Mi stancherei di più a stare chiuso qui dentro da solo, come un imbecille.»
«Allora comincia.»
Angelo guarda il soffitto a lungo. Poi schiocca le labbra e sul suo viso perfetto, in armonia col nome, cala un’espressione concentrata, attenta, come se vedesse qualcosa che io non vedo. «All’inizio c’è una casa molto diversa da questa. Era l’anno 2000 e ti posso dire il giorno preciso perché per tanti motivi non l’ho mai dimenticato: il 3 agosto, un giovedì.»