Raul Montanari




La prima notte



Dalle note di copertina

Milano, marzo 2008: una ragazza e un uomo trascorrono la loro prima notte insieme. Fanno l’amore, mangiano, dormono, si scambiano tenerezze. E parlano. È soprattutto lei, Irene, a parlare: racconta all’amante la storia straordinaria della propria vita, segnata da eventi spesso drammatici che tuttavia narra con una leggerezza sorridente e irresistibile.
Partito da un oscuro, remoto fatto di sangue, il suo racconto finisce per disegnare un quadrilatero amoroso in cui la donna si confronta con un marito ambiguo, un amante geloso, un misterioso e innamoratissimo persecutore. La tensione sale fino a precipitare verso una conclusione inattesa, dove i conti in sospeso con il passato vengono chiusi, ma il futuro è ancora tutto da inventare.
Romanzo anomalo e sorprendente, La prima notte non rinuncia alla suspense che caratterizza da sempre la scrittura di uno dei maestri del noir italiano. Ma più che per evocare ombre e minacce Montanari la usa per cantare un tragico, selvaggio, gioioso inno alla vita.
“Forse si riesce a parlare di qualcosa quando ti dà degli intoppi. Quando le cose sono ruvide e scabrose, le parole fanno attrito, ci si impigliano; quando sono lisce, le parole scorrono, passano via senza fermarsi, e uno si ritrova a vivere, non a dire.”






Giudizi critici

“L’autore usa la suspense che caratterizza il suo stile per trascinare il lettore in un’indagine attualissima sul rapporto fra uomo e donna” (Minnie Gastel, «Donna moderna»)

“Un romanzo intimista, violento, a tratti spaventoso come solo l’umano può esserlo. Raul Montanari ribalta i sensi e lascia la fisicità maschile della sua scrittura per una nuova prospettiva: quella di una protagonista femminile che incontra un uomo e si lascia andare alla confessione di una vita che ha vissuto e forse non ha capito” (Gian Paolo Serino, «Repubblica»).

“Come la voce che immaginiamo di sentire durante tutto il lungo, abissale percorso narrativo disegnato con la solita perfetta sapienza dalla mano sicura che ha ormai reso celebre la scrittura di Raul Montanari, Irene, protagonista narrante di questo nuovo impressionante libro, inizia a sedurci e ad ammaliarci fin dalle prime battute di quello che sarà uno sterminato dialogo a due” (Ade Zeno, «Liberazione»).

“Protagonista è per la prima volta una figura femminile... temi e atmosfere cari all’autore tornano in una forma rinnovata” (Martina Cossia Catiglioni, «Milano Finanza»).

“...la scrittura supera gli steccati e si avventura fra i labirinti dell’eros, dove paura e desiderio sono i motori dell’umano agire. Dialoghi sapienti, lingua solida: un lavoro riuscito” (Paolo Bianchi, «Il Giornale»).

“Così fresco e vibrante che sembra un esordio... La prima notte è un romanzo nero che si beve come birra fresca, o come Coca-Cola, a seconda dei gusti, ma nutre e non ingrassa. Nutre soprattutto un sogno: che gli uomini e le donne possano un giorno imparare a parlarsi, o almeno ad ascoltarsi.” (Daria Bignardi).

“La parola che diventa un’esigenza più primordiale, più vitale del sesso... la parola fatta storia che preme nell’urgenza di essere raccontata, e usa l’ascoltatore (che siamo noi, ma che è anche lo scrittore stesso) per i suoi fini. E’ l’idea stessa dell’incombenza del racconto come archetipo metaletterario, come quell’anima mundi che ci possiede e ci chiede di essere svelata” (Alessandra Casella, «Satisfiction»).

“Racconto teso e quasi surreale... Un Montanari aspro e inquietante, sull’onda di deliri amorosi sempre più borderline” (Sergio Pent, «Tuttolibri»).

“La prima notte indaga talentuosamente gli aspetti più estremi del sentimento e i risvolti più inconfessabili di una sensualità che può essere torbida e ossessiva oppure generosamente lieve. Il risultato è forse l’opera migliore di Montanari: un congegno narrativo così piacevole e possente che è fatica interrompere la lettura e a cui si perdona volentieri anche qualche effetto speciale di troppo nel concitatissimo finale” (Teo Lorini, «Pulp»).





Visto da me

L’aspetto del libro che più colpisce a prima vista è il tour de force a cui mi sono sottoposto scrivendolo, dato che fino al capitolo finale la storia è raccontata in forma di semplice dialogo fra Irene e l’uomo che fa l’amore con lei. Dialogo puro, senza didascalie. In realtà non solo leggere questo dialogo è facile, tanto è vero che abbiamo deciso di omettere perfino le virgolette delle battute, ma tutto sommato anche scriverlo non è stato per nulla pesante.
E’ la storia più romantica e tagliente che ho raccontato in vita mia. Riflette una serie di esperienze mediatiche di questi anni: articoli scritti per riviste e apparizione alla trasmissione televisiva L’Italia sul Due, in cui mi sono trovato spesso a cercare di esprimermi sulla crisi della maschilità, e sulla conseguente crisi dei rapporti di coppia. Nel libro, Irene è il perno intorno a cui girano a vuoto uomini tutti inchiavardati al loro passato: è un segreto nel passato a legare due di loro in un duello infinito, ed è sempre una pagina irrisolta del passato a spingere il terzo a rivolgere le sue attenzioni a Irene. L’unico uomo che esce vincente da questa guerra di tutti contro tutti è l’interlocutore di Irene, capace di ascoltarla per tutta la notte; peraltro anche lui, nell’ultimo capitolo, verrà per un attimo sommerso da tutto il proprio passato che ha sacrificato all’ascolto, da tutte le cose che avrebbe voluto raccontare di sé a Irene, e che ha taciuto perché lei fosse la protagonista. Ma quest’uomo sensibile, autoironico, profondo e divertente, è la mia proposta per una virilità aggiornata. Tutto sommato, pensandoci, è quello che cerco di essere, non solo quello che cerco di scrivere.
Ah, dimenticavo: l’editor della Baldini, il carissimo Francesco Colombo, si è innamorato del personaggio di Irene con una tale sfrenata passione da diventare, di fatto, il suo quinto corteggiatore oltre ai quattro del libro!






La prima pagina

- All’inizio di questa storia c’è una scena terribile. Anzi, due.
- Perché dici all’inizio? Sono due cose accadute insieme, nello stesso tempo?
- No, affatto. Una è successa nel 1980, la seconda quindici anni dopo.
- Ma tu nell’80 dovevi essere una bimba. La piccola Irene...
- Sì, avevo due anni. Infatti io non ci sono, in quella scena, e a quell’epoca non sapevo nemmeno che esistessero le persone che ne sono protagoniste. Sono presente invece nella seconda, quando avevo diciassette anni.
- Voglio sentire la seconda, allora.
- No. Prima viene l’altra. E forse l’altra è ancora più importante, per tutta quanta la storia che ti devo raccontare.
- Va bene. Ti ascolto.
- Immagina una villa sul Naviglio Grande, non lontano dal Ticino e dal confine fra Lombardia e Piemonte. Il posto si chiama Ponte Vecchio. Questa villa è la classica casa di campagna che un milanese compra quando ha abbastanza soldi per farlo ma è troppo tirchio, o fissato, o altro, per prendersi un bell’appartamento al mare, che sarebbe la soluzione più piacevole per i weekend. La scena di cui ti voglio parlare è successa d’estate. L’estate del 1980, appunto. Nella villa non c’era nessuno tranne due ragazzini: il figlio del padrone della villa e un suo amico di lì. Il padrone, che si chiamava Marzio Buticchi, aveva accompagnato suo figlio alla villa, in macchina, ma quando era arrivato l’amico li aveva lasciati soli perché aveva un affare da sbrigare a Novara. Sarebbe tornato la sera.
- Era ricco, quest’uomo? Di che affari si occupava?
- Era un gioielliere e i suoi affari erano piuttosto loschi. Ma di questo ti parlerò più avanti. I due ragazzi rimangono soli nella grande casa circondata da un giardino con olmi e sempreverdi, siepi, uno stagno nero pieno di pesci che quando erano più piccoli si divertivano a pescare.
- Come si chiamano i due ragazzi?
- Remo e Gavril. Remo aveva appena compiuto quindici anni, Gavril era di un paio di mesi più giovane di lui.
- Gavril era il figlio del padrone, immagino. Dal nome...
- Ti sbagli. Gavril era figlio di povera gente, operai di Bernate Ticino, un posto a pochi chilometri da lì. Era amico di Remo da molti anni, si vedevano lì quando Remo e i suoi andavano alla villa. Il suo era quel tipo di nome che spesso la gente semplice dà ai propri figli illudendosi che un nome insolito, aristocratico o esotico, per chissà quale magnetismo, influenzerà il loro destino, sollevandoli dal letame in cui sono nati. Era un nome come Nadir, Yoris, Raul, insomma. Il figlio del padrone era appunto Remo: un ragazzo bruno, ricciuto, un po’ tozzo ma con begli occhi azzurri e una voce profonda da uomo. Gavril invece sembrava davvero un angelo. Era alto e magrissimo, con il busto sottile e la voce melodiosa, quasi femminile.
- Be’, almeno nell’aspetto Gavril assomigliava al suo nome.
- Aggiungi che Remo era già piuttosto peloso sul petto e sulle braccia, mentre Gavril aveva la pelle ancora da bambino.
- Come la tua, allora.
- Dopo essere rimasti soli, Remo e Gavril hanno giocato un po’, hanno letto insieme un fumetto di supereroi. Remo ha detto a Gavril che era proprio ora che quello stronzo di suo padre si togliesse dai piedi.
- Remo odiava suo padre?
- A morte. Ma chi non lo detestava, quello? Marzio Buticchi era un uomo grasso, freddo, mellifluo e ripugnante. Faceva una coppia stranissima con la madre, che era una ex cantante lirica americana, ancora molto bella e alquanto svaporata. I due ragazzi hanno scherzato sul padre di Remo, scherzi feroci e ormai abituali, in cui lo condannavano con la fantasia a ogni genere di supplizio. Remo era il più incarognito dei due, naturalmente, perché ne aveva più motivo e perché se lo poteva permettere visto che era di suo padre che si parlava; Gavril gli stava dietro e rideva. Poi hanno cominciato a toccarsi.
- A toccarsi l’un l’altro?
- Prima hanno abbassato le zip dei pantaloni. Faceva caldo, portavano tutti e due dei pantaloncini tipo da tennis. Remo si è anche sfilato la maglietta.
- Aspetta, Irene. Scusa un momento. Come fai a essere così precisa nei dettagli? Tu non eri lì, l’hai detto fin da subito.
- Senti, se avrai davvero voglia di ascoltare tutta quanta la storia, come dici, ricordati che quello che ti racconterò, quando non sono in scena io come protagonista, mi è stato riferito di prima mano. Insomma, quando ci sono, ci sono; e posso riportarti le cose come sono andate. Quando non ci sono, è come se ci fossi.