Raul Montanari


Più grande di noi. Confessioni di un pescatore a mosca



Dalle note di copertina:

“Raul Montanari, conosciuto nel nostro panorama letterario sia come narratore potente sia come amatissimo maestro di scrittura, qui ci regala una vera perla rispetto ai suoi temi usuali, alle straordinarie geometrie esistenziali calate nella sua interpretazione - così personale - del noir letterario, di cui è stato uno dei pionieri in Italia. Perché in questo libro sviluppa, a lato della sua principale linea di narrazione, un’oasi indisturbata, bianca. Montanari è infatti un pescatore, come sono stati Thoreau, Maupassant, Hemingway, Chesterton, Carver e altri grandi. Questo racconto autobiografico ci accompagna lungo mezzo secolo di una passione divorante, che nasce comprando una cannetta di bambù in una cartoleria e porta il protagonista al traguardo della pesca a mosca, l’unica tecnica che vanta una cultura e una tradizione plurisecolare, anche letteraria. Un’evoluzione personale e spirituale descritta con intensità trascinante, ma sempre con garbo e ironia, che regala al lettore visioni impensate, interrogativi etici assoluti, scatti narrativi da fuoriclasse. E, più di ogni altra cosa, riapre un orizzonte perduto: che la vita sia possibile anche oggi, a dispetto di tutto, nell’abbraccio della natura.”





Giudizi critici

“Storia della passione per la pesca come rivelatrice della psiche, di una filosofia di vita, specchio significante della più larga storia/natura della persona. Un tema che consenta di guardarsi meglio, a fondo, e nel proprio divenire; di capirsi e di raccontarsi, a se stessi e agli altri. Proprio come il fumo per Svevo/Zeno” (Vincenzo Guercio, “L’Eco di Bergamo”).

"Questa riflessione sulla pesca a mosca (racconto autobiografico e piccolo trattato filosofico) è neanche troppo velatamente una metafora della vita, un modo di essere. Oltre il conformismo della società e della ragione, un inno alla libertà, dal retrogusto anarchico ma sempre garbato, che nel suo piccolo fa rima con le sterminate praterie del Colorado e con le rocambolesche avventure di Tom Sawyer" (Francesco Ruffinoni, “Eppen”).







Visto da me

È un memoir, una confessione autobiografica in cui racconto il mio rapporto con la pesca in generale, la pesca a mosca in particolare. Non c'è dubbio che sia uno dei due libri più personali che ho scritto, al pari del Cristo zen, ed è anche strano che abbia messo tanto di me stesso in due saggi nascondendomi invece nei libri di narrativa. Nel libro compaiono i tre più grandi amori della mia vita - donne, intendo - ma anche l'unico amore incondizionato e puro di cui sono stato oggetto: quello di mia nonna, una bergamasca con la terza elementare che mi ha insegnato a raccontare storie. All'inizio di tutto un sogno misterioso fatto da bambino, in un labirinto di cantine sotto Milano, sterminato. E, molti anni dopo, l'incontro sull'Adda con un ragazzo che voleva uccidermi. Le profondità insondabili dei laghi e dei fiumi ma anche un attacco di panico in uno studio televisivo. Una donna e un uomo intravisti fra gli alberi mentre fanno l'amore in una radura, come per rinfacciare al ragazzino che li spia in mezzo al fiume la sua solitudine bellissima e disperata. L'insinuarsi del pensiero magico in tutto ciò che facciamo. La rinuncia a uccidere, interrogandosi sul senso riposto in ogni creatura. Un'antologia esilarante di compagni di pesca, dal mitomane al nostalgico, da quello che parla solo di figa all'iracondo. Perché l'ho scritto? Perché alla fine ci sono così poche cose che ci uniscono al nostro noi stessi di quando eravamo bambini. È quasi incredibile che una passione sia rimasta tale e quale da allora, impermeabile ai cambiamenti, e mi faccia sentire esattamente come mi sentivo allora, con lo stesso batticuore, lo stesso inginocchiarsi davanti all'immensità della natura in cui anneghiamo tutti, che sopravvivrà a tutti, nonostante tutto. Più grande di noi, appunto. “Molte persone vanno a pescare per tutta la vita, senza sapere che non è il pesce quello che cercano,” diceva Henry David Thoreau, padre dell'ambientalismo, uomo meraviglioso.





La prima pagina

1. I sotterranei.

Nel primo sogno che io ricordi, fra quelli fatti da bambino, c’era un drago. Lo rammento alla perfezione anche se dovevo essere davvero piccolo, forse avevo quattro o cinque anni. Il drago non si muoveva, non era reale: era l’illustrazione di un drago. Un disegno che rappresentava un drago e che mi spaventava moltissimo. Il secondo sogno che si è conquistato un posto nella mia memoria l’ho fatto a sette anni, credo, ed è questo. Scendevo nella cantina della mia casa a Milano, che mi faceva sempre un po’ paura. Il corridoio della cantina, pieno di polvere e ombre e illuminato da nude lampadine gialle, si rivelava straordinariamente lungo. Anzi, scoprivo che sotto la città doveva esserci tutta una ramificazione di cantine collegate fra loro, un labirinto sotterraneo che nel sogno percorrevo per giorni e giorni. Vedevo enormi ragni neri che avevano costruito tele triangolari di lato alle porte, negli angoli dei soffitti, e continuavo a camminare in silenzio. Alla fine, quel mondo infero sboccava in una grande caverna dal soffitto a volta, e al centro c’era uno stagno scuro dove nuotavano a fior d’acqua pesci di ogni genere e dimensione. Molti erano pesci fossili visti in un’enciclopedia che proprio quell’autunno - era il ’66 - mio padre aveva comprato: fossili viventi, voglio dire, pesci africani o creature degli abissi che, secondo l’enciclopedia, avevano lasciato esterrefatti i biologi che li consideravano estinti da milioni di anni. Insieme a queste creature mostruose vedevo lucci, persici, carpe, tinche, anguille, i classici pesci di acqua dolce che avevo imparato a riconoscere perché all’epoca si trovavano ancora, spesso vivi e guizzanti, nelle cassette umide dei mercati rionali. La visione mi riempiva di emozioni violente, traboccanti, che non avrei saputo definire. Era come se una parola decisiva fosse lì lì per essere pronunciata, un significato stesse per svelarsi ai miei occhi di bambino tormentato dalle prime inquietudini e da curiosità insaziate. La rivelazione non si diede; la tensione che provavo diventò troppo intensa perché la potessi sopportare e mi svegliai con quelle immagini ancora negli occhi.