Raul Montanari




Un bacio al mondo



Dalle note di copertina

Io so come portarti dove la vita si arroventa e si fonde. Io so come accompagnarti sull’orlo dell’abisso più segreto, del pozzo più profondo e precipitarti dolcemente, inesorabilmente. Io so come spalancarti le ali e volteggiare in ampi cerchi voluttuosi, giù, sempre più giù. La senti questa brezza calda che ti soffia addosso infuocandoti le guance, che ti entra negli occhi mentre scendi? Mentre cadi? Io so come farti dire: ecco, era qui, non ne avevo mai avuto il coraggio, invece sono arrivato, eccomi, sto. Lo so perché questi racconti li ho già letti, è facile per me. Io li conosco. Sono racconti sconfinati, a volte brevi come uno spasmo, sono demoni che ti cullano digrignando, nell’infinito tepore. Ti avverto. Dovrai indossare le frasi di Raul Montanari come si indossa uno sguardo acuminato, dovrai guardare dentro di te come saprebbe guardarti una lama rovente. Dovrai vedere, dovrai ammettere. Hai paura di non tornare più indietro? Hai paura del languore? Hai paura di impregnarti di brividi? Hai paura della tua carne? Hai paura della morte, della dolcezza, della sconfitta. Benvenuto dentro la cosa vera. Stai per giocare contro Dio. Stai per darti scacco matto in una stanza piena di urla, blindata da una musica perfetta. Ci sono assassini, torture, sangue, ci sono incubi, è tutto talmente dolce. Ci sono ragni innamorati fatti a pezzi nel buio. C’è tutta la tenerezza della resa. Sei solo. Lasciati divorare. Non sei mai stato più inghiottito di così.
Tiziano Scarpa






Giudizi critici

“Un bacio insanguinato. Una prosa incalzante, senza pause. A volte prevale un sentimento di tenerezza dietro tanta violenza, una tenerezza sconfinata che trascina verso l’irrealtà” («L’Unità»).

“Raul Montanari è uno scrittore mistico” (Andrea Camilleri).

“Una volta tanto, il risvolto di copertina fa promesse che vengono mantenute... Lo stile è di impostazione classica, la scrittura è misurata. Per questo il senso di orrore che ne scaturisce è ancora più forte e poetico” (Chicca Gagliardo, «Glamour»).

“Storie originali, frutto di una fervida fantasia e ricche di suggestioni oniriche. Ma è lo stile la carta vincente dello scrittore bergamasco. Azioni in apparenza insignificanti e immagini consuete, con cui cominciano alcuni racconti, si trasformano in incubo prima ancora che la trama sveli il senso della storia, grazie a descrizioni quasi casuali ma in grado di generare tensione” (Luisa Cusina, «Il Messaggero Veneto»).

“Un percorso che non indica la via del ritorno. Siamo con l’acqua alla gola, leggendolo... Struggente” («Il Resto del Carlino» - «La Nazione» - «Il Giorno»).

“Realtà e sogno trovano mirabile espressione” («Il mondo»).

“Una lotta continua, raccontata nei termini di una pietà che richiede di rivelare le continue prove estreme” (Fulvio Panzeri, «L’Avvenire»).

“Il mondo è un caos cui la ragione umana cerca di dare un ordine che è fittizio ma che è l’unico possibile... i capolavori di Montanari nascono sempre là dove questa sentenza viene smentita, messa in dubbio, rovesciata” (Luca Doninelli, «Il Corriere della Sera»).

“Mentre leggevo questi racconti mi è capitato più volte di pensare a certe pagine di Baudelaire su Poe... non è quella di Montanari, dentro una prosa che mira a sopprimere i particolari accessori, la medesima ‘sobrietà crudele’ che Baudelaire, a livelli sommi, rivendicava per Poe...? E non sembra abusare anche Montanari ‘del pronome io con cinica monotonia’, con poca preoccupazione di variare, sicuro com’è di interessare sempre?” (Massimo Onofri, «Diario»).

“Architetture di struggente attesa” (Gianluca Mercadante, «Pulp»).

“...incursioni in quelle zone di mondo contigue alla nostra, dove esseri molto simili a noi sono coinvolti in situazioni lontane da quelle nostre ordinarie... Oppure esseri non molto simili a noi sviluppano azioni che sono anche semplicemente nostre” (Dario Voltolini, «Tuttolibri»).

“Ci sono morti nei racconti di Montanari e ci sono torture e umiliazioni, ma emerge soprattutto la vita che si svela, con le sue gioie improvvise e le sue sorprese intense, le sue epifanie meravigliose, i suoi squarci luminosi” (Maria Tosca Finazzi, «L’eco di Bergamo»).

“Emozionanti e pieni di suspense come i racconti di Chesterton, e come quelli ineccepibili nella scrittura e nella costruzione della storia” (Susanna Schimperna, «Blue»).






Visto da me

Il mio libro migliore degli anni ’90, insieme a La Perfezione. E’ difficile aggiungere qualcosa di sensato dopo l’introduzione lisergica, bellissima, di Scarpa.
Nel libro ci sono quattordici racconti di lunghezza variabile dalle tre alle cinquanta pagine, che coprono diciotto anni: il primo, Azzurro, è del 1980 e qualcuno dice che rimane la cosa più bella che ho scritto, che dovevo fermarmi a quelle quattro pagine e non dire altro. Forse hanno ragione. E’ l’unica cosa mia ad aver viaggiato oltre l’oceano: è stato tradotto da una rivista messicana. Qualche tempo fa, gironzolando in rete, ne ho trovato una traduzione in ungherese. Non sono in grado di dire se era buona o no. Onestamente, ho perfino qualche dubbio che la lingua sia l’ungherese.
Anche questo libro, come La perfezione, ha avuto un’appendice in un videoclip: insieme a mia madre, ho interpretato per Rai3 una pagina del racconto I ventiquattro incubi. Lei recitava molto meglio di me, ed era sicuramente più bella.
Penso che, quando uno scrittore pubblica sia libri di racconti sia romanzi, la sua vera voce stia nei racconti. Non c’è tessuto connettivo, solo materia nobile; niente suture, niente problemi di organizzazione della storia, nessun obbligo. Il racconto è il formato letterario perfetto e deve bruciare come una fiamma. La scrittura di circa metà di questi racconti risente, ai miei occhi, del fatto che sono stati scritti vent’anni fa. Però l’entusiasmo di misurarsi con l’infinito, di inventare storie in una specie di ebbrezza della libertà assoluta, o ce l’hai a quella età o non l’avrai mai più.
Ottimo successo di critica, pubblico così così.






La prima pagina




Io mi sono macchiato, a detta di molti, di colpe irrimediabili. Penso che non siano più atroci delle infinite altre che questo sole torrido ha contemplato.
È vero, appartengo alla polizia di uno stato oppressore della libertà. Sono stimato, dai miei corrotti superiori, per la mia incorruttibile fedeltà al mio compito. La faccia del commissario che mi porge un bicchiere di brandy non è diversa da quella dell'uomo che ha smesso da poco di urlare. Nella mia mente scorrono immagini odiose ai più. Ma se guardo all'intreccio di vie che mi ha condotto a questo porto, non trovo di essere stato più crudele o più codardo di mio fratello, che occupa una posizione rispettabile nell'ordine civile.
Ho ventitré anni, ma conosco già abbastanza del corpo umano da saperne trarre il massimo spasimo o il massimo piacere. (Ricordo un ragazzo, dal nome francese. Con aria di sfida, mi disse che l'impulso che genera piacere o dolore è il medesimo, solo il segno cambia. Sono stato, con lui, non meno spietato che con altri.) Non trovo differenze fra le contorsioni dell'orgasmo e quelle della tortura; ma forse sono indotto a questo dal fatto che molte delle donne che ho avuto - spesso di ottima famiglia - amavano immaginare che le stessi torturando, e sussurravano confessioni non richieste.
In verità, non gioisco del potere che ho sui miei prigionieri. Nessuno qui ne gioisce, benché non ci si faccia mancare l'alcol per renderci più zelanti. Solo i nuovi arrivati mostrano (non so quanto fingano) di godere dell'opportunità di essere crudeli, e si fanno assegnare le donne. Io mi sento il grado intermedio fra il potere esercitato su di me dallo stato che difendo e quello che io esercito sui prigionieri.
Senza avere ancora metà della loro vita, ho provato disprezzo e pietà per uomini di cinquant'anni, che gridavano possedendo una ragazza legata.
Tutto mi è indifferente.
Forse perché nessuna donna mi ha amato (io ispiro eccitamento, non amore), neppure io mi sono mai innamorato.
Faccio quel che devo fare, provando un'ombra di piacere nello svolgere le operazioni necessarie in modo efficiente e rapido. Per questo sono già ispettore. E per questo vengo impiegato in interrogatori veri e propri, e non collaboro con le Squadre della Morte. Non credo che Dio, se esiste, abbia tempo per premiarmi o punirmi.