Raul Montanari




Che cosa hai fatto


Dalla scheda per la presentazione del libro alla fiera di Francoforte

Milano è invasa da carri armati e dalle immagini di un Presidente-dittatore, a cui si oppongono moti di piazza e gruppi di resistenza organizzati via internet.
Un uomo di 38 anni decide di liquidare la propria esistenza. Si licenzia, vende la casa in cui abita e mette tutti i soldi che ricava in mano a una vecchia amica, Béatrice, una donna misteriosa dalle relazioni potenti e pericolose. L’intesa è che Béatrice gli prepari un crescendo di piaceri che durerà in totale dieci giorni.
L’uomo, di cui non conosceremo mai il nome, si immerge in questo tragitto sessuale disperato, avventuroso, pedinato da un poliziotto in borghese e punteggiato da telefonate senza risposta. Incontra una famosa telegiornalista, che sottopone alle delizie sognate dai suoi fans. Poi tre bellissime ragazzine che lo stordiscono con il proprio eros giocoso. E ancora, l’identità mutevole della schiava di un boudoir sadomaso, la strana serenità di un incontro omosessuale, la violenza a cui lo sottopongono due gemelle seviziatrici, uno studio televisivo trasformato in camera di tortura e bordello per alti funzionari di polizia.
Ma proprio quando crede di essere arrivato alla fine e sta per attuare il suicidio progettato fin dall’inizio, fa una scoperta che capovolge completamente la situazione...






Giudizi critici

“Cronaca e stupore di un viaggio che è quello stesso della vita... un crescendo erotico di straordinaria tensione” (Giovanni Tesio, «Tuttolibri»).

“Pseudodecameron apocalittico in prima persona” (Antonella Fiori, «L’Espresso»).

“E’ e resterà un romanzo interessante e originale per parecchio tempo... L’impresa di Montanari sta nell’essere riuscito a scrivere di sesso dribblando la pressoché inevitabile noia che ti prende a doverne leggere” (Aldo Busi, «il manifesto»).

“Un romanzo sconvolgente, scabrosissimo, realistico. Uno stile immediato e una lingua che non si concede nessun pudore. L’autore è nudo: insieme con il lettore” («Stilos»).

“Non è facile parlare d’un libro come questo” (Ermanno Paccagnini, il «Corriere della sera»).

“...si popola di suoni, voci, grida, singhiozzi che vengono da oltre le fragili pareti della parola (e dell’anima). Cosa c’è, di là? Ecco la domanda che percuote ossessivamente chi legge questo eccellente romanzo” (Luca Doninelli, «Il Giornale»).

“Una tumultuosa discesa dantesca negli inferi di una Milano allucinante e attualissima... una incandescente via crucis sessuale” (Giuseppe Caliceti, «Liberazione»).

“Una perfetta fotografia di un millennio partito male, nell’inferno erotico di un personaggio senza nome sullo sfondo di una Milano invasa dai carri armati e paurosamente simile alla Genova del G8” («Amica»).

“Questo è un romanzo monumentale. Un romanzo epico. Un romanzo che mi ha preso l’anima e me l’ha strapazzata” (Piersandro Pallavicini, «Pulp»).

“Uno specchio dei nostri tempi... un linguaggio di una trasparenza meravigliosa” («Bild am Sonntag»).

“Bersaglio colpito, signor Montanari!” («Koelner Illustrierte»).






Visto da me

Dopo La perfezione, ecco di nuovo un romanzo convincente, certamente il più radicale che ho scritto finora, nonché mio attuale best seller. Forse non è un caso che i due romanzi siano nati insieme, nel 1991: stavo lavorando a Che cosa hai fatto (allora si intitolava L’ultima decade) quando dovetti interromperlo perché la storia della Perfezione era arrivata da chissà dove, dal solito limbo dove le storie aspettano di prendere vita, e chiedeva di essere scritta con un’urgenza e una necessità che non ammettevano indugi. Poi però La perfezione venne contrattualizzato quasi subito; questo invece dovette attendere dieci anni, fra schede di lettura sgomente, riscritture incessanti (sette, alla fine) e rotture di amicizie. Per molto tempo ho pensato che non sarebbe mai uscito.
Il romanzo mi ha permesso di cominciare davvero bene il mio secondo decennio da autore pubblicato e ha avuto un’eco della stampa fortissima soprattutto dopo la recensione-lenzuolo che Busi gli dedicò sul «manifesto», benché da circa sette anni non ci parlassimo per una lite nata all’epoca della mia traduzione dell’Edipo. Mi ha procurato un sacco di guai, un invito da Costanzo e una fidanzata. Scherzi a parte, anche questo libro non è totalmente rappresentativo del mio mondo narrativo, ma non per difetto: per eccesso. Consigliato a palati robusti e stomaci di ferro, cosa che però dovrebbe valere per qualunque opera letteraria artisticamente coerente. Una volta allacciate le cinture, si vola.






La prima pagina




Il presidente.
Televendita.
Altra televendita.
Calcio, replica.
Pubblicità di calze.
Fiction.
Il presidente allo stadio.
Trailer di film d’azione.
Il Grande Fratello.
Pubblicità di spray per la pulizia del water.
Calcio, differita.
Fiction.
Fiction (si spera).
Telegiornale.
Talk show per giovani.
Calcio, approfondimenti tattici.
Rassegna stampa.
Il presidente a Venezia.
Documentario sulla vita nei mari.
Telegiornale.
Fiction.
Pubblicità di profumo.
Televendita.
Calcio, interviste durante l’intervallo.
Pubblicità Progresso.
Il presidente.
La donna rovescia indietro la testa e grida. Prima un lungo urlo a bocca aperta, poi una serie di gemiti.
Spalanco gli occhi. Mi sono addormentato?
Le labbra della donna si accostano e si scostano e la voce buca l’aria, prima acuta poi sorda, soffocata.
La bocca non sembra sincronizzata con le urla. Appoggio i gomiti alle ginocchia e sposto in avanti tutto il corpo, fissandola.
Solo così mi accorgo che sono due. Entrambe gridano, hanno i capelli incollati alla fronte, sugli occhi, ma i lineamenti sono diversi. Adesso oltre alla faccia riesco a vedere il collo, la curva del seno. Sono sdraiate sulla schiena, tutte e due, e hanno le braccia tese oltre la testa. Intorno a loro comincio a scorgere altre sagome, figure, movimenti. La luce è terribile. La più bella grida così forte che la mia mano cerca il telecomando per abbassare il volume. La scatoletta gialla cade dal bracciolo, due compresse rotolano sul tappeto. Le guardo: ora ricordo cosa stavo facendo. Le immagini si alternano, i volti sudati, gli spasmi quasi identici. Un camice bianco. Due stivali lucidi, accanto alla gamba metallica di un tavolo.
Alla fine l’inquadratura si allarga quanto basta per capire: una sta partorendo, l’altra viene torturata. Adesso le grida mi sembrano diverse. Una mano passa i sali sotto il naso alla più bella, immobile a occhi chiusi; la mano la schiaffeggia e la testa è sballottata a destra e a sinistra. Il vagito del bambino strappa un sorriso alle labbra sottili della madre, come una breve schiarita. Dall’altra parte, chissà dove, uno dei torturatori getta a terra un mozzicone di sigaretta e dice qualcosa.
Allungo il braccio e punto il telecomando contro lo schermo, prendo la mira, premo il tasto rosso. Il nero ingoia la luce, e la stanza rimane al buio.