Raul Montanari




Incubi. Nuovo horror italiano.



Dalle note di copertina

Dal soffitto penzolano una testa dai capelli lunghi, un braccio strappato e altre membra: un misterioso killer rapisce le top model e manda pezzi dei loro corpi agli stilisti. Le vacche sono morte, eppure c’è chi giura di averle viste ruminare con le mammelle gonfie; e in paese tutti tacciono su ciò che avviene nella stalla. Le piastrelle del salotto della nonna si animano, governate dai morti.
Un maestro delle elementari, murato vivo per aver trucidato tutti i suoi alunni, tiene in scacco l’umanità mandando macabri articoli ai giornali. E così via, lungo le storie del terrore uscite dalla penna di 13 autentici stregoni della nuova narrativa italiana. Paola Barbato, Gianni Biondillo, Mauro Boselli, Andrea Carraro, Vittorio Curtoni, Marcello Fois, Giulio Morozzi, Gianfranco Nerozzi, Aldo Nove, Chiara Palazzolo, Andrea G. Pinketts, Tiziano Sclavi, Nicoletta Vallorani ci offrono una rara alchimia, miscelando atmosfere agghiaccianti e virtuosismi letterari, mutazioni spaventose e riflessioni radicali sul confine sempre incerto fra ciò che è umano e ciò che non lo è più. E tutto questo accettando la scommessa di raccontare, rigorosamente, l’Italia. Un’Italia sorprendente, inedita, ma sempre riconoscibile. Il cielo e il mare, i monti e le città del più solare paese europeo precipitano in un incubo gotico collettivo, popolato da creature mostruose nel corpo o nell’anima, che lanciano al lettore la sfida più inquietante:
Sei davvero sicuro di essere diverso da me?





Giudizi Critici

“...Risultati spesso al di là di ogni più nera aspettativa: tanto che si potrebbe quasi parlare di una nuova “linea lombarda” dell’horror. Oltre a questa sorpresa iniziale la raccolta ha il merito di fugare ogni sospetto di operazione commerciale (come spesso accade in questi casi): scopriamo ad esempio un Gianni Biondillo inaspettato... “(Gian Paolo Serino, «Repubblica»).

“Tredici racconti bellissimi e spaventosissimi” (Antonio Bozzo, «Il Corriere della Sera»).

“Non è cultura ‘bassa’, intanto per l’unica ragione che conta: la qualità della scrittura. E poi, il mondo che evocano questi autori solo all’apparenza ci è estraneo: è invece un tuffo senza rete nel precipizio delle nostre paure, dei nostri disagi, dei nostri conflitti mai risolti, delle ombre che ci attraversano e ci tolgono il respiro” (Luciana Sica, «Repubblica»).

“Un’originalissima antologia gotica che ha riunito sotto lo stesso input scrittori assai diversi fra loro... Il risultato è una collisione di stili all’interno di una grande coerenza di sguardo. Scommessa ampiamente vinta” («Campus»).

“Montanari non è solo un narratore straordinario, è anche un validissimo editor... Tra spettri, serial killers, schizzi di sangue, ossessioni, angosce e mostri, ecco lo stato dell’arte del giovane horror italiano” («Dampyr»).

“...affondare i denti e le mani negli orrori di un paese, l’Italia, che malgrado il suo irrimediabile decadimento riesce con ostinata civetteria a preservare qualifiche solari, ottimiste e leggiadre, scaraventarsi sotto la pelle di un corpo luminoso estraendo il buio che ha dentro... cercare (svelare) la terribilità in zone neutre...” (Ade Zeno, «Liberazione»).





Visto da me

Ero, anzi sono un po’ stufo del noir. Il noir ha avuto una funzione decisiva di nuova proposta all’inizio degli anni ’90; come tutti i generi letterari, come tutti i movimenti, ora che è diventato la scelta automatica degli esordienti e sta nel momento del suo acme modaiolo e commerciale, è già un cadavere. I suoi migliori autori guardano altrove, mordono il freno.
Non sono per niente un appassionato di horror, ma quest’area narrativa mi è venuta in mente subito quando mi sono chiesto dove si potesse trovare uno spazio espressivo in qualche modo contiguo al noir ma meno frequentato, più vergine.
L’horror è perfetto, da questo punto di vista. Anzitutto in Italia ci sono pochissimi scrittori che dichiarino di praticare questo genere. In secondo luogo l’horror è più plastico del noir. Solo in apparenza è meno aderente alla realtà psicologica e sociale della vita quotidiana: in realtà si presta a dare un volto terribile ad ansie, sofferenze, domande senza risposta che stanno al centro delle nostre vite, sia individuali sia collettive.
Fare un’antologia è un lavoro molto divertente e difficile. L’avevo già sperimentato nel ‘68 di chi non c’era (ancora), nove anni fa, ma allora era stato più facile: gli autori inseriti nel libro cominciavano a essere famosi ma non lo erano ancora tanto da dover ammattire dietro ad agenti, dettagli contrattuali, impegni totalizzanti e, cosa un po’ tenera, obblighi familiari. Qui abbiamo avuto Paola Barbato che era incinta, ma poi si è sgravata brillantemente sia del nascituro sia del racconto; Lucarelli che il racconto lo voleva fare, e sarebbe stato il quattordicesimo del gruppo, ma il suo agente ha in ballo un vecchio contenzioso con l’editore e la cosa è naufragata; Sclavi, adorabile, prima ha detto no, poi alle quattro del mattino successivo ha mandato il suo bellissimo racconto; Biondillo aveva da fare ma l’ho convinto (ci tenevo moltissimo perché secondo me Gianni è un grande scrittore quando è serio, perfino tragico, e qui questo suo lato è venuto fuori in modo splendido). Con il mio amato Nove abbiamo quasi litigato, poi è venuto fuori un racconto sconvolgente; con Nicoletta Vallorani, invece, ci siamo curiosamente rappacificati da una lite che risaliva alla... precedente antologia!
Potrei andare avanti e citare qualcosa di divertente su ognuno dei tredici. Invece concludo menzionando l’onestà artistica di Tiziano Scarpa, che a mio parere con la scrittura può fare tutto – dunque anche l’horror, sfiorato in alcuni suoi racconti – ma che, dopo averci riflettuto, mi ha detto semplicemente che non gli andava. Chapeau!






La prima pagina

[dall’Introduzione]
In
Danse Macabre (1981), Stephen King osserva che il racconto horror è essenzialmente un racconto di riconciliazione. Il polo apollineo (la ragione, la chiarezza, il buon senso, il quieto vivere quotidiano) viene insidiato da quello dionisiaco (scatenamento di forze nascoste, esplorazione del proibito, destabilizzazione) fino alla ricomposizione finale. Il mutante, l’estraneo, viene identificato, descritto, fatto agire, combattuto e alla fine distrutto. Perciò il genere horror ha certamente un aspetto conservativo: conferma lo status quo, le leggi “naturali” in cui viviamo o ci illudiamo di vivere, mostrandoci visioni delle orribili alternative che ci attendono se le abbandoniamo.
Se le cose stessero solo così, la conclusione sarebbe abbastanza deprimente: l’horror si iscriverebbe fra i generi della narrativa consolatoria, di puro intrattenimento, quella che dice al lettore: “Stai tranquillo, tu vai bene così come sei, tu sei normale, sei giusto; lascia che siano gli altri a cambiare. E se nella realtà che ti circonda si apre uno strappo, una lacerazione attraverso la quale intravedi qualcosa di inquietante o mostruoso, aspetta con fiducia: verrà un eroe a rimettere le cose a posto”. Questa descrizione aprirebbe una curiosa contraddizione con un dato di fatto: la stragrande maggioranza, se non la totalità, degli scrittori e dei registi cinematografici che praticano l’horror professa un’ideologia ferocemente antiborghese, da destra come da sinistra, e si propone, come obiettivo artistico e come orizzonte personale, una dura critica nei confronti della società, e in particolare delle sue ipocrisie, dei suoi conformismi, delle regole asfissianti che mirano a nascondere verità inammissibili sulla natura umana e le sue voragini.
Per fortuna, infatti, nell’horror c’è dell’altro. L’esplosione di energia del polo dionisiaco è centrale in questo tipo di narrativa, perché dà al lettore la possibilità di esercitare per procura – delegandole ai personaggi del racconto o del film – emozioni proibite, di riconoscerne in sé la presenza.
Il mostro sei tu. Il mostro sei anche tu. Questa è l’altra faccia della medaglia, l’aspetto eversivo del genere, il veleno che viene sottilmente instillato nel mondo reale e che funziona come il liquido di contrasto che si usa in certi esami clinici: permette di vedere con chiarezza a volte spaventosa il problema di cui si era solo intuita la presenza. Rende visibile il disagio, il malessere, il conflitto che sentiamo agitarsi dentro di noi fra certi istinti selvaggi, incontrollabili, e la ragione che si sforza di dominarli. E se anche alla fine la ragione prevale, riconciliandoci con noi stessi e con le cadenze normali, rassicuranti, della nostra esistenza quotidiana, non potremo non confessare il piacere che abbiamo provato nel vedere manifestarsi queste forze oscure in tutta la loro potenza.