Raul Montanari




Strane cose, domani



Dalle note di copertina

Si può essere assassini e innocenti? Danio fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e le pazienti che affollano il suo studio lo adorano. Fin troppo. Ma, soprattutto, Danio ha un segreto: è un assassino. Un assassino per caso. Nessuno lo sa tranne la sua ex moglie, l’enigmatica, magica Eliana. Il ritrovamento di un diario, abbandonato in un parco da una ragazzina, rompe il delicatissimo equilibrio che governa le sue giornate. Coinvolto in un odioso dramma famigliare, pressato dalla coscienza e seguito ovunque da un bizzarro e indimenticabile detective privato, Danio dovrà difendere se stesso e le persone che ama da una minaccia inattesa, fino a una resa dei conti rivelatrice per il senso stesso della sua esistenza. Strane cose, domani è un romanzo ricco di sorprese e sottigliezze, una storia incalzante, lontana dai luoghi comuni, che racconta un amore indomabile per la vita.





Visto da me

Raul Montanari presenta su Youtube il suo nuovo romanzo "Strane cose, domani"







Giudizi critici

“...tra colpi di scena ed emozioni forti rappresenta soprattutto un atto d’amore verso l’universo femminile. Un universo che Montanari riesce a descrivere con rara sensibilità in quello che è senz’altro fra i suoi libri più riusciti” (Gian Paolo Serino, «D. La repubblica delle donne»)

“...si potrà - e a buon diritto - restare ammirati dalla vertiginosa facilità con cui questo romanzo trascina a correre tra le sue pagine ma Strane cose, domani merita lo sforzo di rallentare la lettura per soffermarsi sulle pietre preziose che Montanari incastona nel flusso compatto della narrazione... È proprio quello scavo coraggioso in fondo al nucleo ribollente della sua ispirazione che permette a Montanari di librarsi sulla pagina emersa con la levità delle nuvole o delle mongolfiere che solcano i cieli di questo romanzo. (Teo Lorini, «Pulp»)

“Mi capita di innamorarmi di un autore e di non mollarlo più. Mi è capitato con Raul Montanari. (...) Un romanzo pieno di tensione verso il bello, verso una dolcezza sconosciuta (fra uomo e donna, fra padre e figlio) che freme oltre l’orizzonte, al di là del dolore e della violenza” (Cristina Tirinzoni, «Psychologies»).

“E’ un romanzo, come in genere quelli di Montanari... che sa creare attesa, farsi leggere, accattivandosi il lettore con ingranaggi e strumentazioni, insieme, di thriller, horror, noir, racconto erotico” (Vincenzo Guercio, «L’Eco di Bergamo»).

È dunque facile, scorrendo avidamente le pagine lasciarsi travolgere per ritrovarsi dentro queste vicende. Non è facile saper “manipolare” così educatamente il lettore – quasi dicendolo in anticipo... Montanari ha una dote rara, che è la forza della scrittura e l’umiltà dell’autore colto ma contrario all’esibizionismo intellettuale” (Davide Sapienza, «Il Mucchio Selvaggio»).

“...Una Milano enigmatica, capace di splendide sorprese ma pure disfatta nelle sue periferie... E al centro, sempre, le tematiche proprie di Montanari: il Male, talora sociale, ma soprattutto privato; e un Io che vive la vertigine propria di chi sta per essere preso in un vortice e vive su un crinale col rischio di precipitare nella voragine” (Ermanno Paccagnini, «Il Corriere della Sera»).

“Le storie di Raul Montanari sono congegni raffinati, esperti, molto prossimi alla perfezione... L’abilità affabulatrice nel tessere trame degne di questo nome animandole con personaggi quasi sempre memorabili sembra ormai un dato di fatto incontestabile se ci riferiamo a uno degli attuali maestri del noir italiano” (Ade Zeno, «L’Altro»)

“Con il consueto aplomb, Raul Montanari entra nell’animo umano e ci si fa largo, fotografando poi quello che vede” (Valeria Parrella, «Grazia»).

“Montanari ha definito il suo romanzo “postnoir”, evoluzione del vendutissimo e forse stanco noir: tolti commissari e serial killer, restano temi (la morte come ultimo conflitto), linguaggio diretto e suspense. E’ presto per dire se sia nato un genere” (Annarita Briganti, «Repubblica»).

“Una trama che fa pensare a Patricia Highsmith... si snoda con geometrica precisione e un uso perfetto dei meccanismi della suspense, in una Milano perlopiù straniata e notturna... Il finale viene abilmente preparato molto prima e lascia un sapore di autenticità e di stringatezza espressiva. La lingua di Montanari è essenziale e incalzante, non concede pause” (Andrea Carraro, «Il Messaggero»).

“Montanari di suo è sempre stato ‘qualcos’altro’: non-giallista ma anche postmoderno, incapace di ammiccamenti, traghettatore di generi verso i piani nobili della letteratura, in grado di sfiorare Dürrenmatt come Auster... e questo fa di lui uno scrittore unico, intransigente” (Sergio Pent, «Tuttolibri»).

“Sesso, sangue, suspense e sentimento. Ma non come la ricetta vincente per un facile intrattenimento; grumo letterario e denso, invece, lavorato con parole tiepide e attente per dire il mistero della vita. Riecco Raul Montanari, insomma. Riecco la magica cadenza del suo post-noir.” (Rita Guidi, «La Gazzetta di Parma»).

“Strane cose, domani è un romanzo – no, non basta dire che è un romanzo: Strane cose, domani è un'esperienza, una vera esperienza malinconica e integrale: mette un uomo di fronte al suo giudizio universale personale. Oltre a lui ci sono almeno altri due personaggi indimenticabili: la Donna, in tutte le sue manifestazioni (compagne, amanti, adolescenti) e uno strepitoso investigatore privato, dal respiro faticoso e dalla imprevedibile e sghemba rettitudine” (Tiziano Scarpa).

“Leggo Raul Montanari dal suo esordio, nel 1991. Per alcuni suoi romanzi ho provato entusiasmo. La sorpresa è che nessuno mi ha mai deluso. In tutti c’è la forza di una scrittura e di un’intelligenza vere, di una lingua nitida... Quello che colpisce, conquista e incanta, in questo romanzo, è la mescolanza di dolore e levità, una grazia che dà sofferenza (Laura Bosio, «Famiglia Cristiana»).

“...maestria rara... Strane cose domani è un libro che, appena lo inizi, non lo lasci fino alla fine (capita spessissimo con i romanzi di Montanari)... nella vicenda è come se prendessero corpo, fisionomia, psicologia, trama, gli umori di Milano, i suoi appetiti, i suoi odori, le sue tentazioni, i suoi disagi” (Riccardo Bonacina, «Vita»).

“Fenomenale... Non c’è un solo aspetto del nichilismo contemporaneo che Montanari non focalizzi e non dissezioni con glaciale, quasi cartesiana perfezione. Dalla vacuità dei sentimenti amorosi alla crudeltà del miasma (post)matrimoniale, dall’autodistruttività del sesso senza cerniera alla futilità della rivalsa emotiva, dall’autocompiacimento per la violenza gratuita all’osceno della brutalità verso l’inerme, dalla istintiva inevitabilità dell’assassinio alla brama terminale della morte” (Sergio Altieri, «Carmilla»).

“Anche in Strane cose, domani, coesistono alcune ossessioni poetiche proprie dell’autore: la lucidità crepuscolare dell’età matura, la perdita dell’innocenza, la doppiezza dei sentimenti, la carnalità, temi che formano una sorta di elegia dell’ambiguità, dove è proprio dall’ombra che esce quella luce forte capace di illuminare sia il peggio sia il meglio di noi” (Grazia Verasani, «Il primo amore»)

“Un romanzo che seduce con maestria. E come fosse un bell’abito, indossato da una donna, scopre i punti giusti, mentre accarezza, si lascia scrutare, appassiona e sa come incollare lo sguardo del lettore” (Isabella Borghese, «la Tribuna»).







La prima pagina

L’uomo vede l’oggetto sulla panchina e rallenta il passo, incuriosito. Finisce per fermarsi, sotto la pioggia che spruzza gli alberi e i vialetti ghiaiosi del parco Sempione.
Si guarda intorno, perché quest’oggetto deve appartenere a qualcuno, ma lì vicino non c’è nessuno. Un tizio legge il giornale sotto l’acqua, tre panche più in là. Due ragazzi si baciano e un platano gli fa da tetto, a una cinquantina di metri. Forse erano seduti sulla panchina e poi si sono spostati al riparo dell’albero? Hanno dimenticato qui questa cosa? Si tocca la bocca, perplesso.
L’uomo è un assassino, ma questo non ha niente a che fare con l’oggetto che sta osservando. Spesso lui pensa che essere un assassino abbia poco a che fare con la sua vita, in generale.
Lo prende in mano e lo esamina con più attenzione. Lo volta. Lo apre. Sì, è proprio quello che gli è sembrato. Qualcosa di molto personale, di molto intimo, che si sta lentamente inzuppando d’acqua.
Gira di nuovo lo sguardo intorno e scruta i due sotto l’albero. Fosse appena cominciato a piovere, si potrebbe pensare che siano scappati dalla panchina dimenticando l’oggetto, che forse appartiene a lei, una ragazza con i capelli lunghi, lisci, le guance gonfie di sorrisi, l’espressione estatica sotto i baci del suo amico. Ma la pioggia è iniziata da due ore. Lui lo sa, perché fino a poco fa è rimasto a parlare e litigare con suo figlio, dall’altra parte del parco, proteggendosi con l’ombrello rosso che tiene in mano.
No, l’oggetto non appartiene a quella ragazza. A un’altra, magari. E non si può lasciarlo qui, perché marcirebbe sotto l’acqua. Qualcuno l’ha amato, qualcuno ci ha messo dentro molto di sé e forse è in pena per averlo perso, si sforza di ricordare dove può averlo lasciato; forse sta perfino piangendo, adesso. Non merita di finire così.
L’uomo si siede sulla panchina e si passa una mano sulla faccia. Un paio di frasi dette da suo figlio gli frugano lo stomaco. Cosa avrebbe potuto rispondergli, meglio di come ha fatto? Niente! Aveva ragione lui. Resta seduto mezz’ora, montando la guardia all’oggetto che ha trovato e coprendolo con l’ombrello. Immagina il sorriso incerto, trafelato, della sua padrona che potrebbe arrivare di corsa a riprenderselo.
Intanto fa un breve consuntivo della sua esistenza, come gli capita spesso, e più di una volta scuote la testa. Ride fra sé, anche, perché nella sua vita, come in quella di tutti, ci sono molte cose divertenti, non solo i tradimenti, le separazioni, i dolori, gli occhi e la voce di quelli che ha ucciso. Il tizio sulla panchina continua a leggere il giornale sotto l’acqua. Che sia matto? Anche questo lo fa sorridere. Sulla strada, oltre la cancellata del parco, i manifesti elettorali penzolano, scollati agli angoli. La pioggia scende ora meno forte di prima, fitta e leggera.
Alla fine l’uomo si toglie l’orologio dal taschino e vede che è tardi. Le poche figure umane fra gli alberi del parco vanno dritte per la loro strada. Non sembra che cerchino qualcosa.
Allora si alza, prende l’oggetto e se lo infila nella tasca del soprabito. Si avvia verso l’uscita più vicina, per tornare a casa. Qui non ti lascio, dice fra sé. Ci penserò io, a te. Non può nemmeno immaginare cosa significherà, per lui, il gesto gentile e quasi distratto che ha appena compiuto.
L’uomo sono io, e questa è la storia.