Raul Montanari




La verità bugiarda



Dalle note di copertina

Maggio 2004: un giovane traduttore italotedesco prende in affitto un bilocale in una villa milanese, dove vivono personaggi che nascondono tutti un segreto... come lui stesso, forse. E poco lontano, presso i binari della ferrovia, c’è un prato nel quale sono stati commessi due orribili delitti.
Il classico marchio di fabbrica di Montanari (un intreccio avvincente che inchioda il lettore, e al tempo stesso indaga a fondo un ambiente e le sue contraddizioni) si sposa in questo romanzo con un orizzonte ampio e rivelatore. Nella vicenda di Chris, che si addentra come un esploratore in una Milano enigmatica e fascinosa, percorsa da una trama terroristica che esploderà in un omicidio politico epocale, c’è spazio per raccontare le disillusioni di una generazione di venti-trentenni costretti a vivere sentimenti precari, lavori provvisori, rapporti familiari allo sfascio.
Ma alla fine la storia riserverà un ultimo doppio brivido inatteso, e i protagonisti riusciranno a inventarsi, sulle macerie di ciò che hanno perduto, un modo nuovo, sorprendente e fantasioso, per scommettere sul proprio futuro. E su quello di tutti.






Giudizi critici

"Una Milano dove lo smog sembra avere annerito anche le coscienze... un impianto narrativo da tragedia greca" (Gian Paolo Serino, «La Repubblica»).

"Non è disegnata intorno ai luoghi delle fate, la Milano di Raul Montanari, che è anzi spietata, dura anche nei rapporti, e violenta come una brutta copia di New York" (Mariella Radaelli, «Il Giorno»).

"…dà prova di dominare la materia come soltanto i narratori di razza sanno fare, costruendo una storia tesa, nervosa, risucchiata verso la fine come la luce da un buco nero" (Luca Marchesi, «La Padania»).

"…Dentro la griglia del noir si muovono nostalgie, ricordi, amori, e soprattutto il mondo del precariato intellettuale, sempre più spesso al centro della narrativa…" (Loredana Lipperini, «Il Venerdì di Repubblica»).

"…il ritmo incalzante… inchioda il lettore alla pagina sino all'inatteso finale" (Martina Cossia Castiglioni, «Milano Finanza»).

"Ognuno sopravvive come può, con la sua verità provvisoria in un mondo provvisorio: la verità bugiarda del titolo, raccontata con passione ed emozione da Montanari, una penna che è una certezza nel panorama letterario italiano" (Alessandra Casella, «Oggi»).

"...conferma il talento di uno scrittore che gioca con le regole del giallo e del noir e che si allontana dai generi per offrire una storia moderna e avvincente che fa dell'ambiguità il filo conduttore fino al suo epilogo, sorprendente e fantasioso" (Silvana Mazzocchi, «La Repubblica»).

"Linguaggio trasparente, ingranaggi narrativi avvincenti... trecento pagine affascinanti e adrenaliniche in cui è facile perdersi ma, per le giovani generazioni, anche rispecchiarsi" («Lombardia Oggi»).

"Un thriller che coinvolge e sconvolge. Un romanzo che prende alla gola, azzanna e non molla: un libro dove i sogni del reale diventano incubi del quotidiano. La verità bugiarda consacra definitivamente Montanari... uno scrittore che ha la forza di un piccolo grande classico del contemporaneo" (Gian Paolo Serino, «Kult»).

"Un narratore esclusivo e singolare... negli anni e nelle sue storie ha trovato il modo di coniugare l'arte non semplice e non sempre scontata della leggibilità con una raffigurazione caravaggesca delle mediocrità umane" (Sergio Pent, «Tuttolibri»).

"Un noir che all'intreccio da spasmo associa il gusto dell'enigma, una spinta di fondo allo studio dell'ambiente sociale e dei sentimenti torbidi... una trama fitta di giravolte e retromarce, con sorprendenti e inattese svolte e un finale nel segno più riconoscibile di un autore che sa tenere seduto il lettore anche a riflettere" (Piero Sorrentino, «Stilos»).

"...una Milano benestante ma venata di cocaina, un ambiente fatto di contraddizioni vigorosamente scavate da Montanari e così diverse da quelle salmone & rucola degli anni '80" («Il Foglio»).

"Un narratore che ha come obiettivo la fascinazione del lettore, il suo incantamento... un nuovo titolo frutto di un appassionato sforzo d'invenzione, compiuto, al tempo stesso, con furore massimalista e lucidità" (Jacopo Guerriero, «Letture»).






Visto da me

Quanto era stato facile e gioioso scrivere Chiudi gli occhi, tanto è stato ostico scrivere questo romanzo, un anno dopo. Di solito un motivo c’è.
Penso che La verità bugiarda sia un libro meno gratificante sia per l’autore sia per il lettore, perché manca della rotondità del romanzo precedente; in compenso credo che metta a fuoco tematiche più complesse e interessanti, il che spiega il grande favore critico che ha incontrato e la predilezione da parte di lettori dal gusto raffinato.
L’idea di base del libro è nata da un quadro che il pittore Giovanni Cerri mi aveva da poco regalato. Da uno sfondo magmatico si vede emergere il profilo schematico di una casa. Il quadro è a tecnica mista, e le parti incollate e non dipinte creano dei rilievi sulla sua superficie, per cui la casa è più visibile in certe condizioni di luce e da certe angolazioni, diversamente tende quasi a scomparire. Ho immaginato di fare ciò che mi aveva spaventato sette anni prima, al tempo di Dio ti sta sognando: una storia ferocemente claustrofobica, in cui lo spazio di questa casa in cui vivono quattro famiglie diventasse rituale e teatrale.
Il romanzo è un teorema narrativo sull’impossibilità di essere felici all’interno della famiglia così come la concepiamo ora. Al tempo stesso è una tragedia elisabettiana, volutamente asimmetrica, sbilanciatissima, con un accumulo di tensione che esplode in un prefinale di una violenza insolita perfino per me. Nell’ultimo capitolo, invece, le tensioni si ricompongono, il linguaggio diventa leggero, aereo e quasi comico, e viene indicata la strada per un’ipotesi di felicità.
Non è fra i miei preferiti – il che dimostra che non sono un lettore dal gusto molto raffinato, appunto – e se tornassi indietro non so se lascerei una certa scena che mi è valsa la prima pagina del quotidiano «Libero» (non era una pagina di complimenti). In compenso ha un titolo e una copertina forse fra i migliori che siano mai toccati a un mio libro.






La prima pagina

Luca vede la chiazza bianca di polvere sul nero dell’asfalto, i rami appena caduti dalla parete rocciosa e i frammenti di pietra; poi la forma indistinta che si muove lentamente, più scura. La Yamaha frena, il ronzio metallico che finora ha riempito la valle si spegne.
L’uomo e il serpente si guardano, in mezzo alla strada deserta.
E’ una vipera?
Luca non ne ha mai vista una, tranne in tivù, ma l’idea corrisponde. E’ grossa, tozza. Dà un’impressione di potenza, come se fosse la regina di quel metro quadrato che le sta intorno, niente di meno e niente di più. Il cranio del serpente e il casco grigio che lui porta in testa si somigliano stranamente. Alla loro destra, il lago; a sinistra e sopra, il fianco della montagna in cui la strada è stata scavata.
Appena Luca l’ha imboccata, qualche chilometro più a sud, si è sentito a disagio. Non è solo stretta e tutta curve: questa strada è come un tunnel, aperto sul lato che dà verso l’acqua buia e spumosa. Il lago si allarga piatto e geometrico fino alla sponda opposta, altre montagne e colline lontane. Un giorno questo soffitto di roccia crollerà, ha pensato Luca, e la strada si chiuderà come una bocca che inghiotte. Fra seimila anni, magari. La vipera muove la testa e la inclina, come se ci vedesse meglio da un occhio che dall’altro. Potrebbe essersi fatta male, scivolando giù dal suo regno di pietra, là sopra. Forse cerca di capire cos’ha davanti. Anche per lei è una prima volta, questa.
Luca riaccende. Non aveva intenzione di spegnere il motore, ma ha da poco questa moto e non ci ha ancora fatto la mano. Il rombo non spaventa l’animale, che resta immobile.
La schiaccio o passo di fianco? E se mi si attacca a una gamba? Difficile! Però...
Gira il polso, e la moto si avvia. La vipera la guarda sfilare accanto a sé, e si gira per seguirla con gli occhi mentre accelera e prosegue la sua corsa verso il paese. Se non si toglie da lì qualcuno l’ammazzerà, anche se oggi pare che di qui non passi nessuno. Pazienza. Luca ha altro a cui pensare.
Inclina la moto su un fianco e infila la prima di una serie di curve.